Il ciuccio è stato a lungo demonizzato perché accusato, nell’ordine, di: ostacolare l‘allattamento al seno, ritardare lo sviluppo del linguaggio, rappresentare una sorta di vizio, rovinare denti e palato, causare coliche. Per questi motivi, intere generazioni hanno provato a forzare l’abbandono del ciuccio, ricorrendo a diversi espedienti: dal “furto” dello stesso da parte di personaggi di fantasia fino alle sparizioni improvvise.
In realtà, l’uso del ciuccio è stato in parte riabilitato. Merito delle nuove tipologie di succhietti ma anche della letteratura scientifica più aggiornata. I nuovi modelli di ciuccio non ostacolano l’allattamento al seno ma salvano la mamma nei momenti di crisi fuori casa, per esempio. Così come la forma e i materiali dei ciucci di nuova generazione sono stati pensati proprio per favorire lo sviluppo fisiologico del palato.
Al di là di tutte queste considerazioni, prima o poi arriva il momento in cui il ciuccio va abbandonato. Gli esperti, a tal proposito, concordano tutti su un punto: niente fretta, ciascun bambino ha infatti esigenze e bisogni di rassicurazione diversi.
Quando abbandonare il ciuccio
Nell’abbandono del ciuccio, il “quando” è davvero soggettivo. Ci sono, infatti, bambini che tolgono spontaneamente il ciuccio ai primi tentativi di conversazione, proprio perché ostacolati nella verbalizzazione. Alcuni di questi bimbi, rimettono il ciuccio subito dopo aver parlato mentre altri lo abbandonano totalmente e senza traumi. Diciamo che, secondo gli esperti, nel momento in cui si inizia a dialogare il ciuccio va abbandonato gradualmente proprio per favorire questo tipo di interazione. Lo stesso ragionamento può valere per la fase del gioco, ideale per far percepire il ciuccio come ostacolo per godersi il divertimento al parco o all’asilo.
Procedere per gradi
Se per alcune tipologie di bambino, può funzionare la “sparizione totale e improvvisa” del ciuccio, per altri questo metodo risulta eccessivamente traumatico. Quindi, meglio procedere per gradi. Considerando comunque che, secondo fonti SIPPS (Società Italiana di Pediatra Preventiva e Sociale), dai due anni di età del bambino sarebbe meglio abbandonare definitivamente il ciuccio più che altro per una questione di corretto sviluppo dell’arcata dentaria. E i due anni sono anche il momento in cui i bambini tendono a verbalizzare, esprimendo il desiderio di interagire attraverso il colloquio.
Procedere per gradi significa limitare l’uso del ciuccio ad alcuni momenti specifici della giornata, per esempio a quello dell’addormentamento oppure prima di coricarsi, mostrando al piccolo dove si ripone, nel mentre, il ciuccio.
Un altro momento in cui si potrebbe allontanare in modo poco traumatico il bambino dall’uso del ciuccio, è quello del gioco di gruppo. Per esempio, al parchetto o all’asilo. A questo proposito, è sempre opportuno concordare con le educatrici un metodo comune e non traumatico per togliere il ciuccio al bambino. Un po’ come accade per l’abbandono del pannolino e l’uso del vasino.
Le favole
Un modo dolce per togliere il ciuccio (efficace secondo l’esperienza diretta delle mamme) è quello di raccontare al bambino una favola dedicata. In commercio, ormai, sono disponibili moltissimi libri consacrati a questo scopo. Corredati di illustrazioni divertenti e di impatto, questi libri narrano di avventure entusiasmanti compiute proprio da bambini che “stanno diventando grandi” e che, quindi, non sopportano più il ciuccio.
Questo accessorio diventa, dunque, appannaggio dei “piccoli” e, attraverso la storia, tende a sparire spontaneamente anche nella vita reale. Le favole possono funzionare molto bene, a patto che siano raccontate con grande serenità e calma perché i bambini percepiscono immediatamente il tentativo di persuasione occulta delle mamme.