«Non comprate un nuovo videogioco, fatene uno. Non scaricate l’ultima app, disegnatela». Con queste parole Barack Obama ha incitato gli studenti americani, invitandoli ad avere nuove competenze per orientarsi (e, domani, lavorare) in un mondo che cambia. L’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) parla chiaro: il futuro dei nostri figli è nelle nuove tecnologie. Eppure, secondo le ultime ricerche, sei lavoratori su dieci in Paesi come Stati Uniti, Germania e Canada sono quasi totalmente privi di conoscenze informatiche. Lo ha confermato anche un convegno del Politecnico di Milano, che ha evidenziato come i nostri figli, i cosiddetti nativi digitali, nella gran parte dei casi siano grandi consumatori di tecnologie che, però, utilizzano in modo passivo. Ma perché la progettazione 2.0 andrebbe insegnata fin dalle elementari?
Il bello dell’“imparare facendo”
«La robotica non serve solo a creare futuri programmatori, di cui pure c’è bisogno» spiega Alessandro Bugliolo, docente di informatica all’Università di Urbino e rappresentante per l’Italia dell’European Code Week, la settimana europea che, ogni anno, mette alla prova scuole, studenti e docenti di tutta Europa su questo tema (quest’anno si svolgerà dal 15 al 23 ottobre). «Il salto di qualità si fa quando si comprende che un laboratorio di coding, cioè di programmazione, permette a bambini e ragazzi di pensare in maniera algoritmica, ovvero trovare una soluzione e svilupparla. Questo garantisce loro una forma mentis che permetterà di affrontare da grandi problemi complessi». Insomma, imparare a programmare apre la mente. Per questo si comincia già in tenera età: Scratch, un tool di progettazione visuale creato dal Mit di Boston, nella versione junior è adatto ai bambini che ancora non sanno leggere. Per i più grandi, invece, c’è Arduino, la piccola scheda elettronica dotata dei circuiti necessari per creare delle macchine in movimento. «Quando i bambini si avvicinano al coding, i risultati sono immediati. In poco più di un’ora possono creare un piccolo videogioco, funzionante. E vogliono anche che sia difficile, altrimenti chi lo usa si annoia» continua Bugliolo. Sono i vantaggi del “learning by doing”, imparare facendo. I bambini sono immersi in un ambiente logico e matematico, ma la creatività e la fantasia hanno un ruolo centrale.
Quello che non ti aspetti da un corso di coding
«Se si chiede a qualsiasi bambino: “Ti andrebbe di inventare un videogioco o creare un robot?” è facile sapere che cosa risponderà» dice Luca Perugini, ingegnere informatico e coordinatore scientifico di Coding Generation, i corsi promossi da Tag Innnovation school e Il Sole 24 ore a Milano, Torino e Roma, per bambini dai 7 fino ai 14 anni (www.codingeneration.it). «Nei nostri corsi c’è il divertimento, ma anche la possibilità di cimentarsi con un’esperienza unica: la creazione di un nuovo prodotto che prima non c’era. Si passa dall’idea a un progetto vero e proprio, cercando di risolvere i problemi che si presentano, mettendo in pratica la teoria passo dopo passo fino alla fase finale. Che sia un nuovo videogioco o un robot capace di arrampicarsi sugli specchi, esserne stati gli ideatori, i registi e coloro che l’hanno realizzato dà una soddisfazione impagabile». In un corso di coding gli allievi imparano tantissime cose per esempio ad animare la figura bidimensionale di un video, a ruotare un’astronave di 360 gradi, a realizzare un’ambientazione, a inserire il sonoro e gli effetti speciali.
Vincono lo scambio e il confronto
L’immagine che in genere abbiamo di chi ama fare esperimenti e scoprire come funzionano le cose è quella di un ragazzino che armeggia con fili e apparecchi nel garage di casa. Si può iniziare anche così, ma nessuno riesce a realizzare un progetto tutto da solo. «Durante un corso di coding, i bambini imparano che è importante lo spirito di gruppo, lo scambio di idee, il confronto» spiega Luca Perugini. «Solo lavorando in team si può testare il gradimento o la fattibilità di un’idea, accettare la sconfitta, ritentare con la collaborazione degli altri per una nuova soluzione» continua l’esperto. C’è poi un altro aspetto. «È normale che all’inizio i bambini si lancino su idee irrealizzabili: per loro parlano entusiasmo e capacità immaginativa» aggiunge Luca Perugini. «Così imparano a fare i conti con quello che serve per realizzarle, dai materiali alle applicazioni. In pratica, gli si insegna a prevedere la sostenibilità di una idea». E così si chiude il cerchio: dopo la teoria, l’idea e i calcoli, si capisce che per raggiungere un obiettivo sognare non basta, perché servono senso pratico e tanta fiducia in se stessi.