A pochi giorni dalla giornata della Gentilezza, ricordata il 13 novembre, e subito dopo quella per i Diritti dell’infanzia, il 20 novembre, si impone una riflessione: qual è l’educazione migliore che i genitori devono tenere coi figli? Sembrano lontano anni luce gli anni nei quali si discuteva del modello della cosiddetta “madre tigre”, di origine asiatica. Oggi sembra prevalere un approccio più morbido, quello dei “genitori delfino”.
Chi sono i genitori delfino
A coniare il termine è stata una psichiatra e neuroscienziata, Shimi Kang. Dieci anni fa fece scalpore il suo libro, The Dolphin Way: A Parent’s Guide to Raising Healthy, Happy, and Motivated Kids-Without Turning into a Tiger. Un titolo eloquente, con cui proponeva un modello educativo genitoriale completamente opposto a quello della “madre tigre”, ossia la guida autorevole e dalle regole rigide, teorizzato come vincente da Amy Chua, docente di Diritto internazionale negli Stati Uniti, ma anche madre. Anche Kang insegna (ad Harvard) e oggi la sua teoria sembra essere stata abbracciata da molti genitori.
Più empatia e morbidezza, meno fermezza
Secondo Kang, occorre abbandonare l’idea di genitori che spronano i figli al massimo impegno in ogni attività, a raggiungere i traguardi con le loro forze e a seguire una disciplina a tratti molto ferrea. Bisognerebbe, piuttosto, lasciare più spazio alle emozioni spontanee, all’empatia, al gioco, anche condiviso con i genitori, che dovrebbero quindi anche essere più inclini a negoziare coi figli. «Oggi assistiamo a un effettivo cambiamento da parte dei giovani genitori, che tendono a mettere il benessere emotivo del bambino al centro delle attenzioni e della famiglia. Questo atteggiamento ha indubbiamente degli aspetti positivi, ma andrebbe bilanciato», conferma Giovanna Giacomini, pedagogista e formatrice, autrice del libro Scuole felici (Erickson).
Genitori delfino: pro e contro
«L’approccio genitoriale più morbido e caldo parte da ricerche e teorie fondate. Sappiamo, ad esempio, che un ambiente affettivamente sicuro è fondamentale per lo sviluppo del bambino, che viene incoraggiato a trovare la propria identità e a instaurare relazioni basate sull’empatia. Madri e padri oggi sono più informati e consapevoli di questo – osserva Giacomini. – Ma esistono anche dei limiti: uno dei rischi, ad esempio, è di non fornire ai figli, non solo quando sono piccoli, regole che invece sono altrettanto fondamentali per lo sviluppo».
Regole negoziabili: fino a che punto?
Per i Millennial e per chi appartiene alla Gen X non dovrebbe essere una novità: nella vita occorrono regole. Ma oggi è ancora così? «La negoziazione è sicuramente maggiore. Ma non bisogna dimenticare che i bambini, così come i ragazzi, hanno bisogno anche di un “confine” entro il quale muoversi in sicurezza – spiega la pedagogista – Nella primissima infanzia, tra 0 e 6 anni, è rappresentato dalle routine che poi, crescendo, diventano disciplina nel senso positivo del termine. Nel mondo orientale, ad esempio, significa ripetizione di un’azione, che aiuta a sviluppare le nostre competenze, a sentirci più sicuri».
Essere una guida per i figli
Ciò che è importante è evitare di confondere autorità e autorevolezza. «La negoziazione può trovare spazio, ma come riflessione: un genitore può essere disposto a parlare e dovrebbe tenere aperto il dialogo, ma senza dimenticare che rappresenta anche un faro, un porto sicuro – per usare la metafora marina – indicando quali sono gli spazi nei quali il figlio può muoversi. In caso contrario il bambino e il ragazzo si ritroverebbero davanti a un mare immenso, che finirebbe con il creare loro solo molta ansia. Non a caso oggi tanti bambini sono anche eccessivamente ansiosi. L’equivoco che si è venuto a creare riguarda la confusione tra autorità e autorevolezza» aggiunge l’esperta.
Genitori autorevoli, autoritari e “coach”
«Molte madri e padri oggi prediligono un atteggiamento più soft, in contrapposizione al modello ricevuto, a come sono stati educati, cioè con regole più rigide. È una reazione fisiologica, ma spesso si confondono autorità e autorevolezza, che non sono la stessa cosa. L’autorevolezza serve ancora – insiste la pedagogista. – Io credo che tra i due modelli quello vincente possa essere quello del genitore coach: è colui che guida la propria squadra familiare, con obiettivi chiari che vanno messi in campo. Rappresenta, quindi, una via di mezzo e ben percorribile. Ci sono molti genitori che riescono a seguirla, ma occorre una cerca consapevolezza, bisogna porsi alcune domande e chiedersi perché si agisce in un certo modo».
I genitori delfino e il desiderio di essere “bravi genitori”
Un rischio, infatti, è quello di sognare di essere “bravi genitori”, centrando l’attenzione soprattutto sull’immagine di sé che si vuole fornire al figlio, invece che di pensare a ciò che è meglio per lui e la sua crescita: «Pensare di essere una buona madre o padre, ma soprattutto “bravo”, è diventata una priorità per molti, perché rassicura l’adulto stesso. Oggi ci vengono proposte molte immagini di famiglie, spesso non realistiche: arrivano soprattutto dai social e da molti “influencer familiari”, che mostrano solo rapporti sereni, senza i fisiologici contrasti tra genitori e figli, con i primi che non prendono mai posizioni più ferme. Ma questi modelli non rispecchiano la realtà», dice Giacomini.
Adulti che hanno paura di prendere posizione
Secondo molti pedagogisti i genitori e gli adulti in genere oggi tendono ad avere più paure nel mantenere punti fermi. «Osserviamo che ci sono più timori, non solo tra madri e padri. Gli insegnanti, ad esempio, stanno vivendo un momento storico molto delicato: evitano di prendere posizioni decise, preferiscono una maggiore indulgenza per rimanere in un terreno neutro sia con i ragazzi, sia con le loro famiglie, per paura delle conseguenze di un maggior rigore – conferma Giacomini – D’altro canto anche i genitori preferiscono mantenere una maggiore vicinanza ai figli, pensano che sia meglio (e sufficiente) mostrarsi interessati a loro, essere presenti, senza però dover assumere posizioni di fermezza quando occorre».
Padri più presenti (ma spesso “orsacchiotti”)
Un altro cambiamento che influisce sui nuovi modelli familiari è la maggior presenza dei padri nella vita dei figli. Se un tempo rappresentavano quasi esclusivamente la figura autorevole, oggi sono diventati più “orsacchiotti”, proseguendo con la metafora del mondo animale. «Certamente accudiscono di più i figli e questo è un bene. Attenzione, però, a non eccedere nell’immagine paritetica con la madre: è positivo che le decisioni siano prese di comune accordo, ma è importante non cancellare del tutto le sfumature, le sensibilità tra i genitori e i ruoli differenti che possono avere. Una stessa realtà, infatti, può essere letta in modo differente ed è utile per i figli essere educati a ricevere risposte diverse. Educare, che deriva dal latino ex-duco, condurre fuori, significa proprio accompagnare i futuri uomini e donne verso un mondo variegato», conclude la formatrice.