La verità, certe volte, la trovi sui social. Quella di Chiara, per esempio, che ha due bambini, uno dei quali con una disabilità grave. Uno sfogo affidato alla community Mammadimerda che merita di essere letto fino in fondo.

L’emblematico sfogo di Chiara

«Estate per me vuole dire: centro estivo per il grande organizzato dalla parrocchia, 33 euro a settimana, per il piccolo babysitter a casa, 50 euro al giorno da luglio ai primi di settembre. Ovviamente ad agosto il grande è chiuso in casa con il piccolo e la babysitter. Tutto questo per mantenermi un posto di lavoro part-time dalle 8 alle 13. Il piccolo non è stato accettato in nessun centro estivo neanche quest’anno perché manca personale qualificato e dovrei assumerlo io. Risultato: estate da poveracci a pagare e indebitarsi per lavorare. A questo si sommano tutte le difficoltà di un bimbo disabile chiuso in casa. È già tutto molto duro per i genitori che affrontano la malattia e la disabilità di un figlio, ma l’estate è un vero incubo».

Un incubo lungo tre mesi quello in cui la fine della scuola scaraventa tutte le famiglie di bambini e ragazzi fragili, lasciati senza sostegno, senza aiuti garantiti, i genitori soli ad arrangiarsi come se la disabilità, con il caldo, diventasse improvvisamente una faccenda personale e non un problema che, in Italia, riguarda 338.000 minori e cioè il 4,1% degli iscritti nelle classi di ogni ordine e grado.

L’estate dei ragazzi con disabilità ha costi proibitivi

Tra questi c’è Francesco, bimbo nello spettro autistico, che ha 5 anni, frequenta la scuola materna e vive a Milano con la mamma, il papà e una sorella più piccola. «Fa ancora la materna, e fino a fine giugno siamo stati coperti» spiega papà Lorenzo. «Ad agosto, io e mia moglie riusciamo a cavarcela con lo smart working, ma il mese di luglio era da coprire con un campus estivo e iscriverlo nella sua scuola ci sembrava la soluzione migliore. Il costo previsto è di 200 euro a settimana a bambino. Noi di bambini ne abbiamo due ma siamo fortunati, abbiamo buoni lavori e una spesa del genere possiamo sostenerla. Però, per Francesco, ci è stata prospettata la necessità di un supporto dedicato di circa 30 ore che avrebbe portato il costo a 1.000 euro. A questo restava da aggiungere la tata per le due settimane finali di luglio, non coperte dal centro estivo. Morale: solo per lavorare, una famiglia media a Milano, per gestire due figli di cui uno con disabilità non gravissima, nel mese di luglio spende quasi 3.500 euro».

La loro storia però, dice, è a lieto fine. «Ho cercato di capire se avessimo diritto a un contributo e la risposta è stata negativa: il sostegno è previsto solo durante l’anno scolastico. Poi, fortunatamente, la scuola ha avanzato delle ore di educativa (sostegno scolastico), e abbiamo potuto usarle riducendo i costi e tutto si è risolto bene. L’alternativa era rivolgersi a un avvocato e scrivere al Comune, magari per sentirsi dire che i soldi per attivare questi servizi non ci sono o non si riescono ad allocare alla scuola nei tempi giusti».

I mesi estivi? Si traducono in vuoto relazionale ed educativo

Colmare il vuoto è una questione di denaro e spesso anche di fortuna, perché in Italia, spiega Martina Fuga, presidente di Coordown, non c’è uniformità di servizi: «Noi siamo presenti su tutto il territorio nazionale e vediamo differenze importanti tra Regione e Regione. Per le famiglie di bambini e ragazzi con disabilità, soprattutto se intellettiva, l’estate coincide con un periodo di vuoto relazionale ed educativo che in certe zone è impossibile da riempire. Il “ci vediamo a settembre” così bello per gli altri, per tanti dei nostri ragazzi diventa una porta chiusa».

I servizi sul territorio: esempi virtuosi, non pratiche diffuse

Molto dipende, quindi, da dove vivi: ci sono Regioni che garantiscono servizi attivi, spesso con il coinvolgimento di associazioni e cooperative, ma per lo più rivolti ai piccoli. «Più si cresce, più trovare una soluzione diventa difficile. L’iscrizione dei bambini con disabilità in questi centri» spiega Fuga «è condizionata all’assunzione di personale dedicato, il cui costo ricade quasi sempre sulle famiglie. Qualche Comune ha attivato servizi con costi ridotti, ma sono esempi virtuosi, non pratiche diffuse. Quest’anno le scuole potevano istituire centri estivi attingendo ai fondi del Pnrr, ma solo pochi hanno aderito».

Senza considerare che, poi, l’accoglienza dei centri estivi ripropone le stesse difficoltà che si trovano a scuola: orari ridotti, necessità di supporto negli spostamenti, la richiesta di tenere a casa i ragazzi quando ci sono certe attività programmate. «L’anno scorso abbiamo promosso una campagna che si chiamava Ridiculous excuses, cioè scuse ridicole che mascherano la mancanza di inclusione, e una era proprio relativa ai centri estivi. C’era una mamma che voleva iscrivere la figlia con la sindrome di Down. E l’educatore che rispondeva: ma noi ne abbiamo già una così».

Le iniziative dei genitori, come Pastello Bianco

I genitori, di fronte alle scuse ridicole o ai costi insostenibili, si organizzano come possono. Qualche volta formando piccoli centri estivi riservati ai figli che condividono la stessa fragilità. Come quello che frequenta Giulio due mattine a settimana per sette settimane. «È organizzato dall’associazione genitori di cui facciamo parte» spiega Laura, sua madre. «Sono piccoli gruppi di bambini autistici con educatore uno ad uno. Sappiamo che sarebbe meglio essere in un contesto unico con tutti gli altri bambini e non nel “ghetto” ma non abbiamo alternativa».

Un’alternativa, invece hanno provato a inventarla tre mamme di bambini con disabilità diverse, Simona, Michela e Nadia, fondando l’associazione Pastello Bianco di Cologne e aprendo quest’estate un centro estivo a Cazzago San Martino, in provincia di Brescia, dedicato ai bambini fragili e non, dai 3 ai 12 anni. «Volevamo trovare una soluzione ai due problemi più grandi delle famiglie come le nostre: da un lato il tema economico e dall’altro quello dell’inclusione, perché spesso nei GREST non organizzati i bambini fragili sono spettatori delle attività altrui. La nostra idea era proporre un centro estivo in cui i partecipanti possono fare tutto tutti insieme. Abbiamo organizzato l’attività in gruppi di sette bimbi: due con disabilità e cinque senza, garantendo un educatore dedicato per chi ne ha necessità. La retta è uguale per tutti e i costi aggiuntivi sono coperti dall’associazione. Siamo alla prima edizione: non era scontato, ma sta funzionando benissimo».

L’estate di bambini e ragazzi con disabilità al CampobaseOz

Accanto alle iniziative coraggiose dei genitori, ci sono quelle strutturate delle associazioni che, non solo d’estate, restituiscono ai bambini e ragazzi fragili il diritto alla normalità. Come CasaOz, attiva a Torino da 18 anni. «Il divario di opportunità tra chi è sano e chi non lo è, tra chi è benestante e chi no, è sempre evidente» spiega Enrica Baricco, presidente e fondatrice. «Posti come il nostro servono a diminuire le distanze. È un lavoro che facciamo tutto l’anno e che dà risultati meravigliosi che, però, l’estate rischia ogni volta di spazzare via perché molti bambini, costretti a casa per un tempo troppo lungo, perdono competenze faticosamente acquisite. Per questo, abbiamo attivato ormai da molto tempo la nostra “estate ragazzi”, che si chiama “CampobaseOz”: un mese e mezzo di attività, gite, pranzi insieme, giochi, escursioni, incontri, tutto dedicato ai bambini e ragazzi che affrontano la malattia ma anche ai loro fratelli, con uno staff dedicato e un tema che desse al progetto un senso più grande del solo stare insieme».

Perché non bisogna mai dimenticare che per molti, lo spazio estivo in città non è un parcheggio ma l’unico momento di vacanza