La maternità è oggi esibita, celebrata, pretesa e ampliata a ogni ambito dell’esistenza umana.
È più che una condizione fisiologica naturale: essere mamma oggi è per alcune, una sorta di affermazione sociale e personale senza eguali.
Stiamo assistendo alla creazione e all’ampliamento di un universo a se stante, quello materno, in cui la madre si può autocelebrare attraverso il figlio che cresce e in cui non vi è più spazio per altri contenuti se non per quelli compresi nel materno.
Il risultato sono madri iper-stressate, ma non solo. Quali sono gli effetti di questa maternità narcisista sui figli? Ne abbiamo parlato con la dott.ssa Laura Pigozzi.
La maternità oggi: un grosso carico emotivo
«Oggi il carico sulla maternità è un carico inedito, che non è mai stato così psicologicamente pesante. In altre epoche, la pesantezza dell’essere mamma era più fisica, oggi invece assume una connotazione più psicologica. Esiste, infatti, un’enorme aspettativa intorno alla maternità, spinta proprio dal discorso sociale. Il risultato?
Le mamme, attorno ai 30 anni circa, hanno preso a cuore una vera e propria missione: l’essere mamma. E iniziano sempre più numerose a rinunciare al lavoro, a una vita professionale» spiega la dott.ssa Pigozzi.
Inevitabile, a questo punto, pensare alle generazioni passate e alle nostre nonne. Donne per le quali la maternità era davvero fisicamente più pesante ma che, probabilmente, mentalmente si sentivano più libere. Donne che erano forse costrette a restare a casa a fare le mamme ma che hanno, come collettività, lottato con tutte le loro forza per poter lavorare. Come reagirebbero oggi queste donne di fronte alla nuova “professione mamma”?
«Non sono poche le donne che decidono di lasciare il lavoro dopo aver avuto il primo figlio. E questo è uno dei nodi fondamentali del nostro discorso. Le nostre nonne si sono battute per avere un lavoro, e si battevano per lavori ben peggiori dei nostri.
Le condizioni di lavoro attuali non sono certo ottimali ma non è stando a casa che possiamo cambiare in meglio la condizione lavorativa e sociale femminile. C’è tutta un’organizzazione a cui ripensare, organizzazione che chiama gli uomini a parti più sostanziose» continua Laura Pigozzi.
Mamme felici, figli più indipendenti
Lasciare oppure no il lavoro? Questo è il dilemma di molte neomamme. Che, a dire tutta la verità, spesso si ritrovano poi a casa, infelici e stressate. Questo dato è confermato anche da recenti sondaggi, che ci parlano di una percentuale molto più elevata di mamme esaurite tra le donne casalinghe, rispetto a chi ha scelto di tornare a lavorare dopo la maternità.
«Se una donna mantiene il lavoro, non si appiattisce sul ruolo di mamma. Ma, soprattutto, fa del bene al figlio sia nel breve sia sul lungo termine. La mamma lavoratrice è una madre che ha un’attività, una vita e scambi sociali anche al di fuori della famiglia ed è vista in modo diverso dagli occhi del figlio. Diventando così per lui interessante, anche se in alcuni momenti la vorrebbe solo per sé» afferma la dott.ssa Pigozzi.
Mamme perfette, un danno per la condizione femminile
Le mamme di oggi aspirano a essere madri perfette. È come se la donna affogasse nella mamma, attraverso una vera e propria celebrazione narcisistica della missione materna. Una missione che rema contro la condizione della donna, anche se lo fa in modo subdolo, nascosto. Ma, non per questo, meno grave.
«Il contesto sociale si approfitta di questa nuova ondata di maternità perfetta. Infatti, il narcisismo materno si rivela estremamente funzionale ai fini demografici, al consumo. Stiamo affogando la donna dentro una madre, con i suoi desideri e i suoi interessi altri rispetto alla famiglia e ai bambini.
Le domande che rivolgo alle donne preoccupate per un figlio sono: Come dormite, come mangiate, quando uscite da sole con il vostro compagno?
Le risposte delle mamme “perfette” sono molto simili ed emblematiche: la vita di coppia viene azzerata e ci si trova di fronte a famiglie caustrofiliche.
La caustrofilia diventa amore per il chiuso, annullamento dell’orizzonte sociale. E quando i figli crescono, e iniziano ad avere una loro vita sociale, cominciano i drammi. Perché la donna che si è completamente sacrificata nella maternità, inevitabilmente e inconsciamente, chiede poi il conto ai figli. E si tratta di un conto molto salato» afferma la dottoressa.
Mamme narcisiste dipendenti dai figli
Le mamme narcisiste nascono già nei corsi pre-parto, nell’insistenza del contesto sociale sull’allattamento a richiesta.
Si è passate quindi dalla dipendenza dal marito (condizione tipica del passato) alla dipendenza dal proprio figlio, che diventa il centro dell’intera realizzazione della donna, donna madre che rinuncia a tutto ciò che è il sociale al di fuori del materno.
«L’allarme sociale che io riporto è legato al Plusmaterno. Io scrivo per il futuro, per i figli. Perché questo narcisismo materno rema contro la donna stessa, contro il femminile e, punto fondamentale, influisce negativamente sul sociale creando generazioni di figli che saranno adulti incapaci di un pensiero indipendente e propositivo nel cambiamento» afferma Laura Pigozzi.
La donna che vive per essere mamma non fa del male solo a se stessa, ma anche ai figli.
«Oggi gli inserimenti ai nidi e alle scuole dell’infanzia durano settimane intere. Non si dà più valore al tratto di crescita dovuto alla separazione dalla mamma e al trauma che ne consegue. È necessario lanciare un vero e proprio allarme sociale: un figlio sempre protetto e senza traumi, non crescerà attrezzato alla vita.
È ormai noto che un bambino fa quello che la mamma inconsciamente desidera. E se la madre dipende dal figlio, l’indipendenza vera non arriverà mai.
Oggi mi trovo, come psicoanalista, a ribadire l’ovvio: l’atteggiamento di queste mamme crea una mancanza di desiderio nei bambini e anche l’assenza della capacità di battersi per ottenere qualcosa.
Il bambino cresciuto così, sempre attaccato alla mamma, penserà di poter avere tutto il mondo quando lo richiederà con insistenza alle maestre, alle tate e poi al partner.
Oggi le nuove generazioni di mamme, con il benestare del contesto economico-sociale e persino di alcune femministe, rischiano di tirare su quelli vengono definiti “re imbecilli”. Bambini intelligenti e con molta padronanza di linguaggio ma incapaci di una sopravvivenza fisica e psichica fuori dalla madre e dalla famiglia.
I danni di questo tipo di educazione si vedono proprio nel rapporto con il mondo, con l’alterità» allerta la dott.ssa Pigozzi.
Come costruire un progetto di autonomia
«Contenere i danni, però, è possibile.
E si può fare solo se la donna mamma si inserisce in un vero e proprio progetto di autonomia, uscendo dall’idea che debba essere una mamma perfetta, smettendo di valorizzarsi solo attraverso il bambino.
E tutto ciò non può prescindere dal ristabilire una relazione esterna alla maternità: di coppia, professionale, amicale, sessuale. Purché non includa sempre anche i figli» conclude l’esperta.