Della prima amo l’aria spavalda. Gli occhi neri e indagatori che mettevano in soggezione chiunque, persino i grandi, fin da bambina. Entrava in una stanza e l’atmosfera cambiava, come se si creasse attorno a lei un campo magnetico. Fu una collega a farmelo notare un giorno che, chiuse le scuole, la portai in redazione.
La mia figlia preferita
Avrà avuto 6 anni e, mentre tutti le si facevano intorno per dirle le solite cose carine che si dicono ai figli delle amiche, lei guardava e taceva. Non si sforzava neanche di sorridere. Sembrava arrivata da un altro pianeta. Un essere misterioso e magnetico, che non c’entrava niente con me. Io che avevo passato la vita a compiacere gli altri, ad abbozzare, a fare la brava, mi ritrovavo a essere madre di una femmina di un’altra specie. Una creatura dall’indole ispida e indomabile, che non faceva assolutamente niente per piacere. Semplicemente stava. E proprio per questo irretiva e ammaliava, come una maga Circe. Era, ed è, di una bellezza selvatica e insubordinata. Che fino a 10 anni disdegnava il pettine e le moine.
La giovane donna che avrei voluto essere
Piccola ma perfetta nelle proporzioni, ancora oggi si guarda allo specchio solo quello che serve. Da piccola mi divertivo a metterle le cose che avrei voluto indossare alla sua età ma non potevo, perché non mi stava bene niente, a lei invece tutto. Anche ora che è grande e si veste da sola, ha una grazia tutta sua, ruvidamente boho. Ho spesso pensato che è la giovane donna che avrei voluto essere. Il mio contrario e il mio doppio. Colei che mi contrasta e mi completa. E di anno in anno mi somiglia di più, anche se forse non vorrebbe. Perché io sono il dovere e l’impegno. Tutto ciò che le costa fatica. Per questo le nostre corrispondenze sono sghembe e pugnaci. I nostri conflitti intensi e fecondi. Ci fanno crescere entrambe. Ma con affanno.
La mia seconda figlia preferita
Della seconda amo la dolcezza. Il suo essere lieve nel mondo. Le sue fragilità e il suo bisogno di piacere a tutti i costi, l’arte di far felici tutti. Siamo due gocce d’acqua. Due bambine che non si piacevano, secondogenite di fratelli belli e popolari, brutti anatroccoli che hanno fatto il possibile per diventare cigni, usando tutte le frecce al loro arco, in attesa di sbocciare. Sempre in bilico tra il desiderio di essere altro e l’esercizio di accettarsi per ciò che si è, tra il privilegio dell’imperfezione e l’obbligo incessante di lavorare su di sé. Spensierate per indole e per sopravvivenza. Amabili per necessità. Ma anche per qualche buona stella. Stare con lei è una passeggiata, una giornata senza scuola. Nessuna spina, nessuna precauzione.
In equilibrismo tra una figlia preferita e l’altra
Pendo, nei giorni e negli anni, tra l’una e l’altra. Attenta a fare la brava madre che non parteggia e non discrimina. Innamorata con pari intensità di entrambe, eppure consapevole di non essere sempre imparziale, e quindi, umana. All’apparenza immobile, per non condizionare le scelte che fanno e che faranno, eppure ingombrante col solo movimento di uno sguardo, una parola uscita male. Chi preferisco? A volte l’una, a volte l’altra. Mossa, a seconda del momento, da affinità oppure dissonanze. Uno studio ha fatto l’identikit del “cocco di casa”. Ma io invece credo che sia impossibile stabilirlo a priori. A volte è quello che ci rende più fieri e ci alleggerisce dalle responsabilità. Altre il più debole, che va seguito. L’ingrato compito è non schiacciare né l’uno né l’altro dal peso delle aspettative. Lasciarli liberi di essere ciò che vorranno. Come ci ha detto Vittoria Puccini nell’intervista a Donna Moderna. Prima figlia, poi madre, che ha sempre scelto la libertà.