Avere figli è bello, però è una fatica devastante. E per uscire dal paradosso bisogna imparare a divertirsi (anche insieme ai ragazzi).
Essere genitori è anche questo: ingegnarsi per divertire i propri piccoli!
Valentina Diana, attrice, ha appena pubblicato uno spassoso romanzo intitolato Smamma (Einaudi), in cui descrive la relazione tra una madre (autonoma, colta, impegnata, attrice, viaggiatrice) e un figlio adolescente (rozzo, xenofobo, pigro, insensibile, scortese, superficiale, e comunque, parliamone, maschio) che le rende la vita un inferno. Autobiografie semiserie di mamme sull’orlo del collasso nervoso fioccano sugli scaffali di tutte le librerie. E fioccano di pari passo manuali che pazientemente illustrano come crescere i figli senza spaiare contro la parete il servizio da 12.
Perché avere figli è tanto bello ma tanto faticoso. A volte troppo. L’americana Suzanne Evans ha perfino pubblicato una guida intitolata Machiavelli per mamme (Corbaccio), in cui le regole di buon governo illustrate ne Il principe sono applicate al ménage domestico (a quanto pare, la pasta col formaggino è una cena che Machiavelli approverebbe).
Il problema è che essere genitori non ci diverte più. Ci sembra un peso e basta. A casa mia si diceva: «I figli so’ sacrificio», e di solito la frase, pronunciata con tono esausto, si accompagnava al gesto di piazzare le mani sulle reni. Mani che passavano tutto il giorno a rimettere bottoni, strofinare marsiglia sui polsini, girare minestre, inseguire pargoletti con il mestolo insanguinato di ragù. Ma erano altri tempi. Il destino delle donne era tracciato alla nascita: imparavano a fare i servizi, si sposavano, figliavano, sopportavano, imbastivano i lembi di eventuali strappi familiari, e questo era quanto.
Oggi la situazione è complicata. Vogliamo affermarci. Vogliamo piacere e piacerci. Ma, soprattutto, vogliamo anche divertirci. «Le mamme hanno a che fare con troppe cose» spiega Eufrasia Capodiferro, amministratore unico dell’Agenzia pedagogica europea. «Hanno ottenuto l’emancipazione, la carriera, l’indipendenza economica. Però, in un contesto dove le conquiste lavorative non sono mai acquisite definitivamente perché il livello di competitività è alto, devono fare salti mortali. E maturano sensi di colpa».
Se da una parte sappiamo che con questi ragazzi dovremmo starci di più , dall’altra sentiamo che una vita fatta di soli doveri ci schiaccia.
Il segreto è spostare i figli dalla colonna dei doveri a quella dei piaceri. Coinvolgerli in quello che ci piace (magari evitando il concerto degli Einstürzende Neubauten) e farci coinvolgere in quello che piace a loro (magari facendo sì che l’appassionante vicenda di Peppa Pig alle prese con la raccolta differenziata se la zuppi qualcun altro).
L’altro giorno mia figlia di 3 anni e mezzo, passando sotto il Colosseo, mi ha detto: «Mamma, andiamo a vedere cosa c’è dentro?». Vivo a Roma da 10 anni, ma il Colosseo dentro non l’avevo mai visto. È una cosa da turisti mi dicevo. E invece è fico . Con lo stesso biglietto siamo poi andate sul Colle Palatino, dove abbiamo allegramente trotterellato fra i templi e decretato, alla fine, che il criptoportico neroniano è piuttosto inutile.
Se non ce li godiamo, se non sappiamo integrarli nell’area del nostro piacere, questi figli che li abbiamo fatti a fare? Per dovere? Non siamo mica ai tempi della nonna, il dovere è passé. Ci siamo emancipate per cosa, per poter essere finalmente noi stesse, o per avere ancora più pesi, più diktat, più fardelli sulla groppa?
«Ci viene detto costantemente che dobbiamo essere multitasking» commenta Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta e ricercatore presso la facoltà di Medicina e chirurgia all’università degli Studi di Milano. «Se la vita è una rincorsa, e quindi se anche il figlio è una sorta di crocetta che devo mettere nella check-list per essere perfetto, allora non sto inseguendo chi sono: sto incarnando una serie di attributi dettati da una programmazione proveniente dall’esterno».
In sostanza occorre uscire dal copione «la società vuole che io» e stabilire delle priorità e dei percorsi di senso, ciascuno liberamente per sé. E capire se dentro di noi predomina il desiderio di passare le nostre serate in compagnia di un Martini Dry oppure con delle persone ipercinetiche sotto il metro d’altezza. Una cosa che le nostre madri ci hanno insegnato, a volte con il loro fulgido cattivo esempio , è che le cose fatte controvoglia, in nome del sacrificio duro e puro, non portano felicità a nessuno. E sono sicura che Mamma Pig la pensa come me.