Sostiene che è più difficile fare il nonno che l’avvocato: “Perché i nipoti, come i figli, non sono tutti uguali e devi tener conto delle diversità. Per ognuno c’è un modo di porsi, un interesse da valorizzare”. E siccome i nipoti di Cesare Rimini – famoso matrimonialista dalla barba bianca, occhi che sorridono e profondo senso dell’umorismo – sono nove, l’impegno è serio. Ma una cosa è certa: con lui sono sempre stati bene. Perché, a furia di seguire separazioni e divorzi, e di incontrare figli nel turbine doloroso della fine della famiglia, ha capito una cosa: “Occuparsi di bambini vuol dire guardare ogni tanto il mondo dal loro punto di vista”.
Non è facile, però. Soprattutto per due genitori che si stanno separando…
“I figli di chi si separa hanno sulla testa una vicenda non gradevole, che può diventare drammatica o quasi normale. Tutto dipende dalla volontà dei genitori di occuparsi di loro. Di ascoltare anche le loro esigenze”.
Sembrerebbe il minimo.
“Eppure non è così. Vi racconto il caso di una bambina di tre anni che il padre ha iscritto a un asilo e la madre a un altro. In attesa che il giudice decida, lei si fa tre giorni da una parte e tre dall’altra. E tra le due scuole ci sono 25 chilometri. Dov’è l’interesse per il minore?”.
Perché si creano situazioni assurde come questa?
“Per puro egoismo! È difficile accettare l’idea che, se per sposarsi bisogna essere in due, per separarsi basta la decisione di uno solo. Certe coppie litigano e scavalcano i figli per colpirsi a vicenda. Per vendetta, per mortificare l’altro”.
Ci saranno pure casi in cui va tutto liscio. Ce ne racconta uno?
“Certo, ci sono. E il bello è che non c’è niente da raccontare. Arriva un papà o una mamma e dice: “Guardi, avvocato, che per i bambini non ci saranno problemi”. Vuol dire che discuteranno sulla casa e sui soldi. Se c’è un accordo sui figli è tutto in discesa”.
Ma come si raggiunge, questo accordo?
“Io credo molto nella mediazione familiare, eseguita da esperti che aiutano i genitori ad affrontare il dissidio tra loro e le difficoltà con i figli. Sotto il rancore tra marito e moglie deve pur essere rimasto qualcosa: il desiderio di non far male ai bambini e di continuare a sentirsi genitori anche da separati. Se si riuscisse a creare una cultura delle pari responsabilità tra madre e padre, teoricamente non ci sarebbe neanche più bisogno di un giudice che stabilisce dove il figlio deve vivere e con chi”.
Ma di che cosa ha bisogno un bambino, nel momento delicato della separazione dei genitori?
“I piccoli stanno bene solo se i grandi stanno bene. Hanno bisogno di un papà e di una mamma che hanno accettato la fine del matrimonio. E hanno bisogno che si dica la verità. Una verità portata al loro livello di comprensione”.
Stiamo tracciando l’identikit del perfetto genitore separato?
“Ma no! Bruno Bettelheim diceva che non bisogna cercare di essere genitori perfetti. La perfezione è un ostacolo alla tolleranza che rende possibile avere rapporti umani decenti. E un po’ di decenza si deve cercare anche nelle liti”.
Se avesse una bacchetta magica?
“Farei cambiare sedia ai coniugi per far capire a uno i problemi dell’altro. Ho anche inventato un Tribunale per maggiorenni con un bambino che fa il giudice nelle cause di separazione. E l’ho messo in un racconto”.
Sono 49 anni che lei lavora al confine tra diritto e sentimenti. È cambiato qualcosa in tutto questo tempo?
“Nonostante tutto, oggi si litiga di meno. C’è chi riesce a mettersi in discussione, non vede solo i torti e tratta in modo ragionevole. Ma il sintomo più interessante è che una volta le famiglie si schieravano, come in Romeo e Giulietta: Capuleti contro Montecchi. Oggi non più. Ogni tanto vedo persino qualche suocera che tiene per la nuora”.
Come vive questa commedia umana, che per lei va in scena tutti i giorni?
“Non ci si abitua mai. Anzi, col tempo sono diventato più severo con chi usa i figli per sostenere le sue richieste. E ogni volta penso che, se esistono due genitori, un bambino deve averli tutti e due. Anche se vivono separati”.