Il muso lungo. Lo sguardo fisso al cellulare. Il continuo rimandare ogni dovere, la “sbatta” come dicono loro. Lo spirito di contraddizione. E niente che accenda lo sguardo, che faccia breccia nell’indifferenza, che apra la mente sul futuro. Che periodaccio l’adolescenza, per chi la attraversa, ma pure per noi genitori. Sarà l’età più delicata della crescita, però il nuovo fenomeno dei giovani apatici può rendere inaspettatamente fragile anche il più risolto degli adulti.
Giovani apatici: le esperienze
«È diventata una prova di pazienza che sfiderei pure Giobbe a vincere» dice Silvia, madre di una 16enne che sembra aver costruito un muro invalicabile tra sé e i familiari, gli insegnanti, l’intero mondo degli adulti. Perfino quando si parla di vacanze. «“Non portarmi al mare, tanto odio stare in spiaggia” mi dice Greta. “In montagna a passeggiare? Ma chissene!”. Sbuffa sia davanti ai compiti sia davanti alla proposta di andare al cinema. E io mi dispero perché niente sembra risvegliare la gioia che vedevo in lei da bambina».
Senza arrivare al comportamento estremo degli Hikikomori, gli adolescenti che rifiutano ogni attività sociale chiudendosi in casa (secondo il Cnr, sono 50.000 in Italia e tendono ad aumentare, specie tra i 15 e i 17 anni), l’apatia sembra essere la nuova forma di ribellione giovanile, che però un genitore stenta a riconoscere come tale. «Siamo passati da una società “verticale” impostata sull’obbedienza a una scala di valori morali, a una comunità “orizzontale” dove tutti fanno cose e i ragazzini di 13 anni si sentono già pressati a trovare e mostrare i loro talenti» sostiene lo psicopedagogista Stefano Rossi.
Giovani apatici: vivere l’adolescenza oggi
«Se i ragazzi di ieri reagivano con la disobbedienza alle imposizioni dall’alto, quelli di oggi mollano il colpo, cercano una via di fuga e si chiudono in se stessi perché si sentono inadeguati: ideali e modelli sociali sono troppo alti rispetto alla loro realtà». Se a questo si aggiungono le preoccupazioni per il futuro, l’ansia di un genitore si traduce spesso in una ricerca disperata e ossessiva di attività da proporre ai figli.
La storia di Andrea
«Quando Andrea è arrivato all’apice della sua indifferenza per tutto, sfociata nella seconda bocciatura a scuola, sono entrata profondamente in crisi. Gli avevo detto: “Stavolta non ti aiuto, trovati un progetto”. Non sono riuscita a tenermi un passo indietro, però, come avrei dovuto fare, per responsabilizzarlo» racconta Francesca, torinese, madre di un 17enne che definisce “un sabotatore di se stesso”.
«Non arriva a chiudersi in casa come gli Hikikomori, esce con gli amici e sospetto che fumino un bel po’ di canne, sta di fatto che nelle sue giornate non c’è il più piccolo impegno. Anzi, un giorno mi ha detto: “Non voglio neanche pormi il problema di cosa fare nel futuro”. Proprio questo mi ha gettato nello sconforto. Mi sento in colpa perché negli ultimi due anni sono stata troppo immersa nel lavoro, mentre lui aveva bisogno di più attenzioni. Ora però mi fa stare male vederlo senza neanche un suo piccolo sogno, per non parlare di un’idea di cosa potrebbe fare nella vita. Brancola nel buio e neppure se ne rende conto.»
Presa dallo sconforto, Francesca ha proposto tante cose per scuoterlo: «So che alcuni suoi coetanei si divertono facendo gli animatori nei villaggi e magari guadagnano qualcosa, scoprendo che è una soddisfazione. Pur di vederlo impiegare qualche giornata ho finito per trovargli un lavoretto fasullo, con la complicità di due amiche che organizzano eventi: di nascosto ho pagato io le ore in cui ha fatto loro da “assistente”. Non si è minimamente incuriosito a quello che facevano, ma almeno gli sono piaciute le persone, si è sentito coccolato» conclude Francesca. «E da questo ho capito una piccola cosa: che forse si riesce a coinvolgerlo attraverso emotività e affettività».
Aiutare i giovani apatici a trovare la loro strada
Perfino una formatrice come Laura, esperta di Mindfulness e discipline orientali, ha faticato a trovare il modo di prendere suo figlio Fabrizio. «Viviamo tra le colline della Tuscia, vicino a Viterbo. Lui è cresciuto senza guardare la televisione e fino ai 14 anni passava i pomeriggi a leggere romanzi: ero così fiera!» racconta. «Poi ha avuto in regalo un tablet usato che si connetteva alla Rete con molta lentezza. Ho iniziato a vederlo con un libro in una mano e il tablet nell’altra, finché non ha mollato le letture. Il cellulare ha fatto il resto: a parte giochini e social, non si è più interessato ad altro. Durante la pandemia ho chiuso un occhio, visto l’isolamento generale. Poi mi è diventata insopportabile l’idea che vivesse alla giornata e la sua vita fosse così piatta. Ho cercato di togliergli cellulare e tablet, ma lui sosteneva di non avere di meglio da fare. Abbiamo avuto scontri pesanti, tanto che mi rispondeva: “Meno male che studi la comunicazione non violenta!”.»
Non si sa come, ma un’idea finalmente gli è venuta. Visto che i nonni sono americani, ha proposto di andare a vivere almeno un anno con loro a Dayton, in Ohio, frequentando la scuola americana, che ha un’impostazione molto pragmatica. Non è stata una scelta facile per me e il mio compagno, ma abbiamo pensato fosse giusto dargli questa chance, una luce in fondo al tunnel degli ultimi anni. Forse bisogna uscire dai soliti percorsi per trovare quello giusto».
E se la scelta giusta fosse quella che non ti aspetti?
Le soluzioni insolite non sempre sono le più desiderabili. Come nel caso di Jacopo, romano, che a 18 anni è andato a fare il muratore. «Le ho provate tutte per fargli finire le superiori e soprattutto per fargli immaginare una scelta di vita gratificante. L’ho mandato da una psicologa sperando lo aiutasse a conoscere meglio se stesso e a individuare degli obiettivi» racconta Anna, sua madre. «L’unico desiderio che ha espresso è stato trovare un lavoro, uno qualsiasi, per sentirsi più indipendente e non doverci chiedere soldi. È dura vederlo uscire con gli attrezzi da manovale quando io e suo padre, alla stessa età, ci godevamo la vita da studenti. Eppure, paradossalmente, lo vedo più sul pezzo. Si è voluto organizzare un viaggio da solo, cosa che un anno fa sarebbe parso un miraggio. Forse qualcosa di buono ne verrà fuori».
Giovani apatici: istruzioni per l’uso
«A volte bisogna mettersi in attesa, di fronte, agli adolescenti: essere zen e avere fiducia». Parola dello psicopedagogista Stefano Rossi, autore di “Lezioni d’amore per un figlio”, da poco in libreria per Feltrinelli Urra.
«Dietro il disinteresse apparente di un ragazzo c’è un processo naturale: l’uscita dall’infanzia e la costruzione della propria personalità che impegna tutte le sue energie» sostiene Rossi. Che qui dà ai genitori alcuni suggerimenti per affrontare l’apatia dei figli.
Non essere scultore, ma floricultore
«I genitori tendono a proiettare un ideale narcisistico, vorrebbero dare al figlio la “forma” che desiderano, come fosse una loro opera, anziché aiutarlo a scoprire la propria unicità. Ma rischiano così di farlo sentire inadeguato. Meglio un approccio da floricultore: avere fiducia nella fioritura, anche quando la situazione sembra statica».
Insegnagli a volersi bene
«Nella società prestazionale, i ragazzi sentono le aspettative familiari e sociali come un peso. E finiscono per obbedire a un bullo interiore che dice: “Lascia perdere, non vali niente”. Vanno aiutati a trovare, invece, una voce amica, incoraggiante, che ha fiducia nelle loro potenzialità».
Trasmetti la passione
«Nel mondo senza certezze che il sociologo Zygmunt Bauman ha definito “liquido”, ognuno ha la responsabilità della propria libertà. E di scelte creative. Non deve più cercare i binari di un lavoro fisso ma la passione, l’unico talento che fa emergere tutti gli altri. Se i genitori sono i primi a lamentarsi o annoiarsi, i figli tenderanno a seguire l’esempio. E a non riconoscere il fuoco, la grinta, come lo spirito-guida della vita».