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Nel nostro Paese c'è ancora tanta confusione sulla maternità! Cerchiamo di fare chiarezza
di Flora Casalinuovo
28.07.2015
Ci hanno sempre detto che il parto è un momento naturale, che le donne sono “fatte” per quello. Ma in Italia 1 bambino su 3 vede la luce con il cesareo: siamo il Paese europeo dove nascono più figli in sala operatoria, dice l’Istat. Negli ultimi tempi, tuttavia, sono aumentate le “pentite”. Le donne che vogliono un Vbac (Vaginal birth after cesarean), cioè un parto naturale dopo una prima esperienza con l’intervento, sono salite al 25%.
Anche l’Unione europea è sensibile a questo tema, tanto che ha lanciato il progetto Optibirth per incentivare la tendenza. «Per far nascer mio figlio ho urlato 400 volte» ricorda Ilaria Bernardini, autrice del libro L’inizio di tutte le cose (Indiana). «Alla fine di ogni spinta ridevo. Per liberarmi dal dolore». Anche la scrittrice è una fan del “naturale for ever”. A patto, però, che alle mamme si dica la verità. Sfatando i falsi miti che accompagnano ogni gravidanza, dal test che ti cambia la vita alla prima poppata.
L’Unione europea ha lanciato il progetto Optibirth per incentivare le donne a ricorrere al parto naturale (optibirth.eu).
«Ammettiamolo: spesso nei primi mesi si sta da schifo» nota Virginia Rasera, ostetrica a Como e tra le fondatrici del sito www.vbac.it.
«Il malessere è causato dall’aumento dell’ormone Beta-Hcg, che testimonia la crescita del bambino. Contro le nausee ogni donna ha il suo rimedio, dalle gocce omeopatiche alla frutta secca. Ma soprattutto serve consapevolezza. Oggi ci sono due visioni della maternità: una “mistica”, che paragona le madri a semidivinità felici e perfette, e una fin troppo medicalizzata. Ne servirebbe una laica, che affronti la gravidanza con leggerezza».
C’è chi non li fa perché lavora fino all’ultimo. E chi ne frequenta 5, alla ricerca dell’illuminazione.
«Il problema è l’offerta» spiega Rossana Campisi, autrice del saggio-inchiesta Partorirai con dolore (Bur). «I corsi negli ospedali spesso sono affollati. Aumentano quelli a pagamento e negli ultimi anni sono stati chiusi più di 1.000 consultori che li organizzavano. Le lezioni, poi, sono standard e formali. Nel libro racconto la storia di Costanza: il parto l’ha segnata per sempre perché nessuno le aveva insegnato come domare il dolore del travaglio. Le avevano ripetuto, tantissime volte, che la coppia deve accogliere un figlio. Solo questo: neanche una parola su come quel figlio sarebbe nato».
Il ministero della Salute raccomanda almeno 3 ecografie in 9 mesi. Peccato che spesso se ne facciano 12. «Per realizzare il libro ho parlato con decine di ginecologici in tutta Italia. E ho scoperto che, se la gravidanza è nella norma, sono troppe» nota Rossana Campisi.
«Invece sono ancora pochi gli specialisti che, prima di villocentesi o amniocentesi, propongono il “test combinato”: un esame che unisce l’ecografia della translucenza nucale all’analisi del sangue materno e stabilisce il rischio del neonato di essere affetto da sindrome di Down. Certo, è un’analisi diagnostica che fornisce una probabilità, non un risultato certo, ma non è invasiva. E se le percentuali sono alte c’è comunque il tempo di fare villo e amnio».
Colpisce la storia di Rosanna, italiana che vive alle Canarie e racconta la sua storia nel saggio Partorirai con dolore: «Qui si controllano solo la pressione della madre e il peso e il battito cardiaco del bimbo. E a seguirti, gratis, è la “matrona”: un’infermiera specializzata».
Alcuni credono che il boom dei cesarei sia legato a motivi economici, dato che l’ospedale riceve dalla Regione un rimborso più alto se effettua l’operazione. «Al di là delle polemiche, l’importante è invertire la tendenza, perché non è vero che il cesareo è sempre sicuro: è un intervento chirurgico e, in quanto tale, ha dei rischi» sostiene Paolo Scollo, presidente della Società italiana di ginecologia e ostetricia. «La strada? Migliorare le strutture: non ha senso tenere aperte le oltre 100 che fanno meno di 500 parti l’anno, il numero minimo per gli standard di sicurezza».
Aggiunge l’ostetrica Virginia Rasera: «Bisogna rispondere alle domande delle mamme, anche alle più scomode. E personalizzare il momento del travaglio. Perché obbligare una donna a stare sdraiata a letto, quando è dimostrato che c’è chi soffre meno in acqua, camminando o accovacciandosi?».
È entrata nei Lea (Livelli essenziali di assistenza), i servizi forniti dal Sistema sanitario gratis o con ticket. Eppure, secondo l’Istat, la usa appena il 5% delle partorienti. «Soltanto nel 16% delle strutture è disponibile 24 ore su 24» osserva il ginecologo Paolo Scollo.
«Spesso mancano gli anestesisti. È c’è un retaggio culturale per cui l’epidurale non è considerata così necessaria. Invece è un diritto. Per questo consiglio alle mamme di farsi seguire da un medico e da un’ostetrica non “schierati”, che diano in ogni momento la possibilità di scegliere se usufruirne o meno».
Ecco l’ultimo mito da sfatare: tutte possono attaccare il proprio bambino al seno. «Invece non è così scontato» sottolinea l’ostetrica Virginia Rasera. «È un momento emozionante, e dà grandi benefici al neonato. Ma è impegnativo e gli intoppi non mancano. Non è giusto colpevolizzare le donne che sono felici col biberon».
Ogni mamma è unica. «Nel mio libro L’inizio di tutte le cose se ne incontrano tante, con esigenze diverse» conclude Ilaria Bernardini. «C’è anche chi si cosparge i capezzoli con succo di limone e creme emollienti e quando allatta sente tutto l’amore di quel gesto. Un gesto che somiglia a una dittatura dolce, perché ti fa scoprire la potenza del tuo corpo».
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