Quando è programmato
Il parto con il cesareo non è sempre prevedibile. Tuttavia ci sono alcune situazioni che ne impongono la programmazione. Ecco i casi più frequenti.
Quando la placenta ricopre completamente il collo dell’utero (e viene detta “previa centrale”), impedisce l’uscita del piccolo. Durante il travaglio, inoltre, sotto lo stimolo delle contrazioni, potrebbe distaccarsi prima della nascita del bambino e provocare un’emorragia.
Se il bambino si presenta con i piedini o con le natiche, invece che con la testa girata verso il canale del parto, occorre passare al cesareo soprattutto se la mamma è al primo parto. Invece, al secondo o terzo figlio, la presentazione podalica non è un impedimento al parto naturale. Anche quando il nascituro presenta la spalla o il torace all’imbocco del canale del parto, si tenta il rivolgimento manuale e si passa al cesareo solo se la manovra non ha successo.
Se la futura mamma ha infezioni virali ai genitali (come l’Herpes e il Papilloma virus), che potrebbero essere trasmesse al piccolo durante il passaggio nel canale del parto, si deve ricorrere al cesareo.
Un’altra indicazione al parto chirurgico è quando la mamma soffre di importanti disturbi al cuore o ai reni.
Quando non è programmato
Non in tutti i casi il cesareo può essere programmato. Talvolta, viene deciso all’ultimo minuto, per problemi sorti durante il travaglio o per anomalie segnalate dal tracciato cardiotocografico.
Il bisturi è un “fuori programma” quando il travaglio è lungo e difficoltoso e si prolunga oltre i tempi ritenuti normali: il bambino può soffrirne eccessivamente e si rende necessario farlo nascere quanto prima. Se, nonostante la somministrazione di farmaci per indurre il parto, il travaglio non procede, dopo tre-quattro ore di attesa e di vani tentativi, si ricorre al cesareo.
Se il bambino ha il capo girato verso una spalla oppure il mento sollevato potrebbe avere difficoltà a nascere. Allora occorre valutare caso per caso se il cesareo è necessario.
Quando si verifica un distacco iniziale della placenta, il bambino rischia di non ricevere più nutrimento e ossigeno a sufficienza, e anche la mamma corre un pericolo a causa dell’emorragia.
Può succedere che, dopo la rottura delle acque, il cordone ombelicale sospinto dal liquido amniotico, si frapponga fra il collo dell’utero e la testa del bambino (prolasso del funicolo); in questo caso c’è il rischio che rimanga schiacciato senza più fornire ossigeno.
In caso di parto gemellare, quasi sempre si fa ricorso al cesareo. Solo se i bambini sono ben posizionati nel canale del parto possono nascere naturalmente. Invece, il cesareo è d’obbligo se il primo gemello è podalico o se lo sono entrambi.
In Italia il trentatré per cento dei bambini nasce in sala operatoria. Una cifra molto elevata, che contrasta con le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità secondo cui la quota dei cesarei non dovrebbe superare il quindici per cento. Cifre a parte, il cesareo (da caedo, in latino, che significa “taglio”) è un vero e proprio intervento chirurgico.
Ecco le diverse fasi in cui si svolge.
La cute e il sottocute vengono incisi appena sopra il pube con un taglio orizzontale lungo circa dodici centimetri (solo nei casi veramente urgenti l’incisione è praticata in verticale dal pube verso l’ombelico). Vengono poi incise le fasce muscolari sottostanti e il peritoneo, cioè la membrana che avvolge le viscere addominali.
Raggiunto l’utero, si incide trasversalmente la sua parete e si estrae il bambino. Il medico estrae poi anche la placenta manualmente o favorendone il distacco spontaneo massaggiando la superficie esterna dell’utero. Si richiude la parete dell’utero con una doppia serie di punti e, dopo aver controllato che non vi siano perdite di sangue, viene chiuso anche il peritoneo. Gli ultimi punti vengono applicati alle fasce muscolari e infine alla cute. L’intervento in totale dura circa mezz’ora, quarantacinque minuti.
Quando il cesareo è programmato in anticipo, è possibile scegliere tra due tipi di anestesia: la generale e l’epidurale. Se l’intervento viene effettuato d’urgenza, non è invece possibile ricorrere all’epidurale che, per produrre il suo effetto anestetico, richiede una ventina di minuti. Quindi, si ricorre alla spinale che si effettua con un’iniezione più profonda rispetto all’epidurale, in grado di raggiungere la dura madre (la membrana di rivestimento del midollo spinale) e che riesce a togliere la sensibilità dall’ombelico in giù in soli tre-quattro minuti.
Il dopo cesareo
Nelle ore immediatamente successive al parto con taglio cesareo, è normale sentirsi un po’ intontite e avvertire dolore alla ferita: quasi sempre vengono somministrati degli analgesici. Dopo cinque-sei ore, è possibile iniziare ad assumere qualche liquido e mangiare un pasto leggero dopo dodici.
Sempre dopo dodici ore, si può iniziare a sedersi sul letto e muovere qualche passo sostenute dall’infermiera o dal partner, mentre il giorno successivo ci si può alzare da sole. La funzione intestinale fa più fatica a riprendere il ritmo, per effetto dell’anestesia, ma nel giro di quarantotto ore, di solito l’intestino si rimette in moto spontaneamente.
Normalmente la medicazione viene rimossa e sostituita il giorno della dimissione (fra la quarta e la sesta giornata dal parto). Nella stragrande maggioranza dei casi i punti si riassorbono da soli. Se invece sono state usate graffette o punti non riassorbibili, vengono tolti dopo cinque-sette giorni dalla nascita del bambino.
Una volta a casa, l’unica accortezza che deve avere la mamma è quella di mantenere una perfetta igiene della ferita, che va trattata per circa una settimana con prodotti disinfettanti (acqua ossigenata o mercuro cromo). Il bagno nella vasca è sconsigliato per i primi venti giorni dopo il parto: meglio optare per la doccia.