I dati Istat parlano chiaro: nel 2016 l’Italia ha toccato il minimo storico di natalità. Siamo scesi infatti a 1,34 figli per donna (1,35 del 2015). Secondo l’Istituto nazionale di statistica, però, il trend negativo sarebbe dovuto al calo delle donne in età feconda per le italiane e al processo d’invecchiamento per le straniere. Anche se l’Italia non è un paese a misura di bambino (si spende circa 1,4% del PIL per le famiglie con bambini, mentre nell’OCSE in media il 2.2%) è come se stessimo naturalmente scontando il calo demografico degli anni ’70.Si registra anche un continuo aumento dell’età media della donna al momento del parto: 31,7 anni.
Quanti sono i nuovi nati
I nati del 2016 sono 474.000: un nuovo minimo storico che non tiene il passo con i decessi che sono stati 608.000. Il saldo naturale, quindi, registra nel 2016 un valore negativo (-134 mila) attestandosi come secondo maggior calo di sempre (il peggiore fu nel 2015 con -162.000). Al 1° gennaio 2017 la popolazione ammontava a 60 milioni 579 mila residenti (86.000 unità in meno sull’anno precedente).
L’invecchiamento della popolazione
Anche l’invecchiamento della popolazione prosegue inarrestabile: i residenti hanno un’età media di 44,9 anni e gli individui di 65 anni e più superano i 13,5 milioni rappresentando il 22,3% della popolazione totale. Quelli di 80 anni e più sono 4,1 milioni, il 6,8% del totale mentre gli ultranovantenni sono l’1,2% del totale. Gli ultracentenari ammontano a 17.000.
Conciliazione lavoro-famiglia: un’impresa titanica
Se secondo l’Istat il problema delle culle vuote è da attribuirsi al calo delle donne in età fertile, è comunque evidente che l’Italia non riesce a stare al passo con l’Europa per quanto riguarda le politiche per la famiglia. «Da tempo le donne italiane si caratterizzano per il persistere di livelli molto bassi di fecondità. Forse per il fatto che nel nostro Paese, in confronto a molti paesi OCSE, le donne hanno più difficoltà a conciliare lavoro e famiglia o si trovano spesso a dover compiere una scelta tra avere un lavoro ed avere dei figli» dice Letizia Parolari, ginecologa del Centro Medico Santagostino.
La disparità di genere
In Italia le donne dedicano al lavoro non retribuito molto più tempo degli uomini (in media, più di 5 ore al giorno le donne e meno di 2 ore al giorno gli uomini): la più ampia disparità di genere nei Paesi OCSE dopo Messico, Turchia e Portogallo e quindi scelgono in percentuale maggiore il part time che molte imprese non gradiscono.
«Se non si hanno degli aiuti validi e sempre disponibili come i nonni non si riesce a gestire una vita così complessa e quindi la maggior parte della donne sceglie di fare un figlio solo o spesso, nemmeno quello. In Italia, in effetti, ci sono molte donne senza figli: il 24% circa delle donne nate nel 1965 non ne ha avuti mentre in Francia, per esempio, solo il 10% delle donne nate nello stesso anno non ha figli» conclude Letizia Parolari.
Il problema del figlio unico
Se la fecondità totale è scesa a 1,34 figli per donna significa che è sempre più diffuso il modello del figlio unico: un problema, come spiega Michele Cucchi, psichiatra e direttore sanitario del Centro Medico Santagostino: «È dimostrato dalla letteratura», spiega Cucchi, «che i figli unici hanno un funzionamento neurocognitivo diverso da chi ha fratelli o sorelle: essere un figlio unico fa percepire meno affetto dalla famiglia, predispone a disagio emozionale e depressione, ansia, maggior propensione allo stress e una sorta di dipendenza dagli altri (il figlio unico è meno autonomo del figlio con fratelli). Queste condizioni possono frequentemente esitare in vere e proprie patologie psicologiche. Avere uno o più fratelli aiuta sembra essere una palestra emotiva».
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