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L'occasione: un colloquio
Ieri: tailleur scuro.
Oggi: discrezione e, comunque, niente spacchi. «Un tailleur blu o grigio è sempre gradito» esordisce Matteo Marzotto, neosocio della griffe francese Vionnet. «Ma l'importante è presentarsi con la massima discrezione e naturalezza. No, quindi, a scollature, pance al vento, minigonne, spacchi eccessivi: occorre far risaltare le proprie capacità. Da evitare anche i gioielli vistosi e tintinnanti, come i charms. Ammessi solo una crocetta, un pendente o un braccialetto sottile». E per le scarpe? «Sì ai tacchi, purché non superino i sette centimetri» risponde Marzotto. «Quelli più alti danno un'andatura vacillante che trasmette un senso di vaghezza, tutto a sfavore della professionalità. Il primo requisito, tuttavia, è guardare dritto negli occhi l'interlocutore» incalza l'imprenditore. «Spostare lo sguardo intorno, infatti, dà l'idea di essere in difficoltà. Se si è emozionate, è meglio dirlo in modo esplicito». L'autenticità, infatti, è la virtù che premia di più. «Ogni ambiente, però, ha le sue regole di abbigliamento: meglio informarsi prima del colloquio» precisa Antonio Burrello, chief marketing officer del gruppo Zegna. «Un look stravagante non funziona in un ufficio tradizionale, mentre il classico tailleur può costituire un segno di conformismo penalizzante se ci si propone per un posto di creativa nel terziario avanzato».
Nella foto: Anne Hathaway con il boss Meryl Streep nel film Il diavolo veste Prada .