Il caso dei genitori troppo protettivi

L’occupazione scolastica del liceo Tasso a Roma è diventato più che un caso di ordinaria cronaca ed è andato oltre lo scontro politico. È lo specchio di una società nella quale una “normale” occupazione scolastica (come quelle andate in scena a centinaia nel corso degli anni) fa riflettere su cosa sia oggi la scuola e come sia cambiato il rapporto con i genitori: madri e padri, infatti, sembrano voler iper proteggere i figli. «In realtà in questo modo si nasconde una sempre più diffusa fragilità adulta», spiega Matteo Lancini, psicologo, psicoterapeuta e presidente della Fondazione Minotauro, che si occupa di adolescenti e giovani.

Liceo Tasso: dall’occupazione alle sanzioni

Tutto è cominciato con l’occupazione dello storico liceo romano Torquato Tasso, ai primi di dicembre scorso, a cui è seguita la decisione del preside di adottare sanzioni contro il gruppo di 170 studenti che l’ha organizzata: 10 giorni di sospensione dalle lezioni, dei quali 8 da svolgere con attività socialmente utili, e 5 in condotta al termine del primo quadrimestre. Misure accolte con favore da parte del ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, e dal collega alle Infrastrutture, Matteo Salvini. Contrari, invece, alcuni esponenti del Pd, come Stefano Fassina, ex studente del Tasso e la cui figlia frequenta l’istituto.

Lo stop ai genitori-politici

Proprio a Fassina sembra diretto un passaggio della lettera, firmata anche da 32 docenti, scritta dal preside del Tasso, Paolo Pedullà, in cui risponde alle critiche per le sanzioni: «Non è una pressione illegittima e inopportuna questa a cui assistiamo? Non sarebbe stato preferibile che un genitore che ha un ruolo politico si limitasse a svolgere tra le mura domestiche il ruolo di padre?». Pedullà critica l’attenzione eccessiva nei confronti del suo liceo, mentre invoca «per queste ragazze e a questi ragazzi la possibilità di assumersi le loro responsabilità, di accettarne le conseguenze lontani dal soffocante abbraccio dei loro genitori, di discernere criticamente il senso del loro operato, di crescere, di smettere una buona volta di essere figli».

Genitori troppo protettivi vuol dire impiccioni?

La domanda è legittima, ma la presenza forse eccessiva di madri e padri nelle vite dei figli può essere letta non come semplice tentativo di “difenderli”: «L’emergenza educativa che vede contrapposte scuola e famiglia non è nuova, il problema di fondo rimane la mancanza di alleanza tra le due agenzie educative, che continuano a rinfacciarsi carenze. Ciò che colpisce è una fragilità adulta senza precedenti, di cui le uniche vittime sono i ragazzi. Né alla scuola, né alle famiglie sembra interessare molto del loro destino, sempre più preoccupante, con un abbandono scolastico in crescita, ansia, frustrazione, tendenze suicidarie e violenza minorile in aumento, come mostrano i casi di cronaca», spiega Lancini.

La scuola sempre più inadeguata

Da un lato, dunque, c’è una scuola ancorata al passato, che sembra sempre più inadeguata a rispondere alle nuove esigenze dei ragazzi: «Si parla da anni di riforme, anche durante la pandemia, ma alla fine non se fanno perché non c’è la volontà di cambiare. In una società pervasa da internet, dove si parla quotidianamente di intelligenza artificiale e si ipotizzano lavori del futuro fondati sul digitale, le superiori sono l’unico spazio non collegato all’alta velocità. La sola priorità sembra impedire l’accesso a internet alla Maturità, mentre forse dovremmo far svolgere l’esame con un open internet, per valutare anche quel tipo di competenza, limitandosi a impedire il ricorso all’AI in modo illegittimo», prosegue Lancini.

I giovani che si ribellano sono diventati “panda”

«Credo che in un momento in cui occorrerebbe di più ascoltare l’ansia dei giovani, capire i motivi del loro ritiro sociale, della violenza e dello scontento, i ragazzi che ancora provano a ribellarsi siano da considerare dei panda in via di estinzione. Ben vengano, quindi, le occupazioni delle scuole», commenta ancora lo psicoterapeuta e autore del libro Sii te stesso a modo mio. Essere adolescenti nell’epoca della fragilità adulta – Il problema non è tanto la protesta, quanto la dispersione scolastica. Anche i genitori dovrebbero iniziare ad ascoltare di più i figli, invece si mostrano interessati, ma soprattutto per assecondare un proprio bisogno e autocompiacersi».

Lasciar crescere i figli

D’accordo anche il giornalista Massimo Gramellini, che dal Corriere della Sera osserva: «La mia generazione è cresciuta contestando l’autorità e quindi la scuola, ma non aveva (e nemmeno voleva) l’appoggio dei padri: li considerava alleati della controparte, come in effetti erano». Per Gramellini proteggevano i figli solo quando li vedevano in preda alla disperazione o vittime di un reato. In tutti gli altri casi li lasciavano liberi di misurarsi con il potere, di vincere e perdere le loro sfide adolescenziali. Intuivano che, se un genitore difende il figlio contro il preside, gli trasmette il messaggio che la scuola non vale niente».

La fragilità adulta camuffata da interesse e protezione

Il desiderio di supporto dei figli, anche quando portato avanti a fin di bene, può scivolare in una “rete di protezione” o persino istinto di controllo sui figli, le loro azioni e gli amici che frequentano. Ma oggi come lo si fa, ai tempi dei social e soprattutto: è giusto farlo? «Credo che oggi i figli non siano più protetti, né più ascoltati di quanto non accadesse nelle generazioni dei nostri padri o nonni: la sensazione è che siano messi al mondo soprattutto per soddisfare le esigenze degli adulti, ma senza lasciare loro spazio per affermarsi in modo autonomo. Per questo uso l’espressione Sii te stesso a modo mio», spiega il presidente di Minotauro.

Figli immobili e soffocati

«Molti genitori si interessano dei figli, ma in modo superficiale, senza ascoltare cosa hanno da dire o quali passioni provano davvero: la rabbia, la tristezza, i desideri autentici. Sono immobilizzati. Spesso i primi “spacciatori di internet” sono la madre o il padre, che preferiscono vedere i figli davanti a un videogioco, invece che lasciargli spazio, fuori da casa, salvo lamentarsi del tempo trascorso davanti a uno schermo o del cyberbullismo. In questo modo, però, li hanno sotto controllo, non se li vedono tornare a casa con le ginocchia sbucciate, insomma senza graffi apparenti. Li portano a fare sport, ma solo quello che scelgono loro, e si affannano a cercare regole standard per tutti».

Meno rigidità e più ascolto con i figli

Secondo Lancini, dunque, parte dell’eccessivo interesse dei genitori nasce da una sorta di narcisismo di questi ultimi, «per poter dire – a se stessi e agli altri – che si occupano attivamente degli figli. In questo contesto si cercano regole da imporre, possibilmente uguali per tutti, ben sapendo che ciascun ragazzo o bambino è diverso da un altro, anche da un fratello. Un esempio riguarda l’età in cui dare il cellulare ai figli, come se esistesse una norma standard e perfetta. Il tentativo è proprio quello di tenerli immobili, sotto il proprio controllo, in qualunque contesto: che sia scolastico o sociale. Ma così i giovani sono soffocati e finiscono con il manifestare il proprio disagio in forme estreme, come dimostrano le tendenze recenti che li vedono protagonisti», conclude Lancini.