Educare alle emozioni costituisce una risorsa per bambini e adulti, perché aiuta ogni persona a entrare in contatto con il proprio mondo interiore. Grazie alla meditazione e all’ascolto di sé diventiamo più coraggiosi, troviamo una nuova forza , ci arrendiamo al flusso incessante della vita.
ESPRIMERE LE EMOZIONI
Uno dei nomignoli che utilizziamo di frequente per riferirci agli anziani è “vecchietti “: termini come questi sviliscono la condizione della persona e ne riducono la dignità , ricorda Rabih Chattat , professore associato del Dipartimento di Psicologia presso Università di Bologna, specializzato in psicologia gerontologica. Nelle culture tradizionali l’anziano è depositario del sapere della comunità, ha fra le sue mani la consapevolezza che nasce dall’esperienza , perché ogni anno in più sulle spalle è una strada che porta al centro di se stessi , fino a sfiorare il confine misterioso fra la vita e la morte. Vedere un anziano che perde le sue forze o si perde fra i sentieri della memoria tocca emozioni profonde. È doloroso da accettare, prima di tutto per i figli, ma anche per i nipoti, per i quali, tuttavia, può iniziare un nuovo processo di crescita , a livello emozionale, psicologico e spirituale.
PRENDERSI PER MANO
Confrontarsi con la vulnerabilità significa toccare con mano la profondità di emozioni ancestrali e fare esperienza della condizione umana. Stare a fianco di una persona anche nel contesto della malattia è imparare a crescere e sapersi confrontare con la vita attraverso le sue molte prospettive. Viviamo in una società che nega l’invecchiamento e tutto ciò che appare connesso a situazioni di disabilità, sofferenza , difficoltà. Il tentativo di rimanere giovani per sempre e in forma fino all’ultimo si rivela spesso vano, eppure spendiamo grandi energie e risorse nella lotta contro il tempo , dimenticando che l’esistenza è fatta anche della relazione con la sua fine, di momenti gioiosi così come di ostacoli . «Avere la nostra età vuol dire vivere i suoi segni , che sono comunque segni di vita» ricorda l’antropologo francese Marc Augé nel suo libro Il tempo senza età . Fai in modo che i tuoi figli possano parlare di come si sentono di fronte alla malattia dei nonni: non ci sono ruoli da sostenere, né bugie da raccontare. Condividere le tue emozioni e creare un dialogo basato sulla trasparenza e la verità può aiutare anche te.
RENDERE VIVA LA MEMORIA
Fra le pagine di Manuela Donghi scopriamo i pensieri di un’adolescente di fronte a Maria, ottant’anni, malata di Alzheimer : «Penso spesso a come fosse da giovane. La guardo, osservo la sua faccia piena di rughe, le sue mani grinzose e penso che quelle mani, una volta, erano come le mie. A volte le prendo e le accarezzo, le stringo. Chiudo gli occhi e penso: queste sono le mani di una donna che era bambina, ragazza, moglie, mamma. Sono le mani che hanno accarezzato e toccato suo marito, che hanno cambiato i pannolini di quei figli che hanno deciso di andarsene lontano. Sono le mani che ora tengono stretta la sedia sulla quale è seduta al ricovero, le mani che ora sono tra le mie, un ponte che collega passato, presente e futuro». Dagli ultimi studi sul cervello emerge che il ruolo centrale della memoria emozionale . Le esperienze emotive sono lezioni di vita che impariamo sulla pelle, ecco perché anche nel caso di malattie degerative il collegamento con i ricordi non è mai casuale, sebbene per noi sia spesso difficile mettere in relazione ciò che sappiamo di un anziano rispetto alla sua infanzia .
IL CORAGGIO DI ESSERE PRESENTI
Il poeta e filosofo Amadou Hampâté Bâ ha scritto: «Un vecchio che muore è una biblioteca che brucia». Dovremmo ricordare queste parole e renderle esperienza di vita giorno dopo giorno. Evita di escludere i bambini dalla vita di un nonno che incontra la malattia. Nell’affrontare situazioni che sentiamo difficili spesso allontaniamo i bambini per tentare di proteggerli da ciò che riteniamo troppo grande per loro, ma questa lontananza diventa un dolore irrisolto , soprattutto se in casa la comunicazione manca. I piccoli sanno vivere le emozioni con una saggezza e un’apertura che agli adulti spesso sfugge: non neghiamo loro la possibilità di sperimentare anche questa fase dell’esistenza. Stare vicino a una persona malata non è solo capacità di assicurare all’individuo la soddisfazione dei bisogni primari, lavarlo o cucinare per lui. Secondo Beverly Rupa Rodríguez , ricercatrice tantrica esperta di gestione delle emozioni, possiamo trasformare il nostro atteggiamento di fronte alle cose a partire dal vocabolario che utilizziamo per esprimerci. Iniziamo a sostituire la parola “guida” con il termine “accompagnamento “. Accompagnare qualcuno significa saper stare al suo fianco con quello che c’è, prendersi per mano e coltivare le risorse, così come accettare la difficoltà. La vicinanza è un’esplosione di energia in grado di illuminare e scaldare anche senza parole, senza dover dire o fare nulla di utile. Essere e condividere la presenza , semplicemente.