Il mobbing sul posto di lavoro è un fenomeno molto diffuso tra le donne: le più colpite sono le mamme che rientrano al lavoro dopo l’assenza per maternità.
Per capire qualcosa di più abbiamo intervistato l’avvocato Alessandro Manno, esperto in diritto del lavoro e della previdenza sociale, con una bella esperienza in cause di mobbing.
Avvocato Manno, cosa si intende per “mobbing”?
Il fenomeno del mobbing può avere diverse sfaccettature: demansionamento, privazione di mansioni, ed altre figure che possono incidere sulla persona ma che possono avere un intento demobizzante oppure no. L’intento del mobbing è quello di “escludere” la persona. Il termine è di origine etologica: in origine si usava per indicare gli animali che vengono esclusi dal gruppo di appartenenza. Quando il mobbing si verifica nel lavoro, che è un aspetto molto importante nella vita di ciascuno di noi, ha delle ripercussioni molto pesanti sulla persona. L’art. 2087 del c.c. dice che il datore deve tutelare anche la personalità morale. I fenomeni di mobbing si possono verificare sia a livello verticale che orizzontale, tra colleghi di pari livello che pongono in essere atti di vessazione, scherno, esclusione e quelli verticali, in cui l’azienda è attrice. Purtroppo i fenomeni di mobbing sono premeditati per far cedere il destinatario e farlo dimettere.
E’ vero che i fenomeni di mobbing molto spesso colpiscono le donne che rientrano al lavoro dopo la maternità?
Sì. Purtroppo il mobbing è un fenomeno che capita, a tutti i livelli, molto spesso in coincidenza con la maternità. Dalla mia esperienza, peraltro, le aziende non si fermano nemmeno dinnanzi ai livelli alti. Gli strumenti in genere sono questi: come una donna torna al lavoro dopo la maternità le vengono affidate nuove mansioni, anche se prima era brava in quello che faceva. Questo è disorientante. La donna subisce un senso netto di cambiamento di prospettiva e non si sente in linea con l’attività lavorativa. Ai livelli più alti, un altro sistema è quello di rilasciare valutazioni negative, in questo modo ti affossano e ti fanno capire che non si cresce più. Avvilisce le donne. Non è facile replicare a queste valutazioni. Ciò che ha maggior impatto sulla donna è il senso di un ambiente ostile che manda chiari segnali di scarse possibilità di sopravvivenza. Il messaggio è : “non sei gradita” e non è bello sentirselo dire. Tutto è finalizzato a far dare le dimissioni.
Cosa si può fare ?
Purtroppo quando i fenomeni di mobbing coincidono con il rientro dalla maternità le clienti si sentono con le gambe tagliate, perdono capacità di reazione. E’ un meccanismo perverso, si deprimono molto perché, in fondo, si sentono colpevoli. La reattività è ridotta a zero. Molte non vanno dall’avvocato, non chiedono aiuto. Bisogna reagire, affilare i denti. Il meccanismo è perverso: più vieni “mobbizzata”, più reagire diventa difficile. Consiglio di parlarne con chi può aiutare: in famiglia, con un avvocato, trovare un valido sostegno per uscirne, dare una forma al disagio. Il contesto normativo ha gli strumenti che consentono di tutelare la donna ma la sensazione è che le donne non abbiano il coraggio di reagire. Spesso donne di talento cedono, danno le dimissioni e si rifugiano nella famiglia ma poi si sentono perse.
Avvocato Manno, per quale ragione molte aziende “colpiscono” le donne che rientrano al lavoro dopo la maternità?
E’ oggettivo che per molte aziende è più importante la quantità che la qualità della vita lavorativa. La presenza fisica è considerata più importante della capacità che le donne sviluppano di produrre lavoro di qualità con assenze fisiologiche per malattia del figlio. E’ un limite dell’impostazione produttiva delle aziende. Però il valore sociale della maternità andrebbe capito e sostenuto.