Il test di paternità con il dna deve essere effettuato con il consenso del figlio. Il figlio naturale deve acconsentire al test di paternità tramite il dna, non può essere una scelta del genitore biologico perché i diritti del figlio sono la priorità in questo caso.
La Corte di Cassazione con la sentenza 21014/2013 si è pronunciata in merito all’eventualità in cui il padre voglia procedere all’esame del DNA del figlio a sua insaputa per dimostrare che non sussiste alcun legame di parentela. La finalità dell’esame risulterebbe essere in questo caso il disconoscimento della prole tramite esame genetico.
La Corte ha escluso la possibilità di sottoporre il figlio all‘esame del DNA senza il suo consenso perché se un’azione per disconoscimento di paternità è in corso, si confrontano due diritti della personalità di pari rango, per cui se è vero che il figlio non può essere costretto a fare il prelievo (questo perchè la nostra Costituzione ex art. 32 vieta i trattamenti sanitari contro la volontà dell’interessato, tranne casi espressamente previsti dalla legge), il diritto del padre è tutelato dal fatto che il giudice può valutare il rifiuto ingiustificato del figlio, e trarne le proprie conclusioni (ai sensi dell’art. 116 cpc).
Ciò significa che un rifiuto può essere interpretato come un indizio del fatto che il figlio teme i risultati dell’esame. Però finchè il giudizio non è in corso (ed è questo il caso che la Corte stava esaminando) il diritto del figlio ha maggior forza di quello del padre che è sostanzialmente sapere anticipatamente quale sarà l‘esito del giudizio di disconoscimento che ha intenzione di intentare.
In poche parole se il padre fa fare di nascosto il test sul figlio prima di fare causa, lo fa per valutare se gli conviene o no procedere legalmente; mentre se il figlio, in corso di causa, rifiuta di fare il test, il giudice è autorizzato a valutare se il rifiuto è o meno ingiustificato, e potrebbe persino decidere a favore del disconoscimento, a seconda delle altre prove che il padre porta.