Niente smartphone ai minori di 14 anni e niente social agli under 16. L’indicazione è chiara e arriva da due pedagogisti esperti come Daniele Novara e Alberto Pellai, che hanno lanciato un appello sottoscritto anche da molti vip: da Paola Cortellesi ad Alba Rohrwacher, da Luca Zingaretti a Stefano Accorsi, in molti hanno aderito alla richiesta, su cui sono d’accordo anche le psicologhe Anna Oliverio Ferraris e Silvia Vegetti Finzi. «È ormai chiaro che prima dei 14 anni avere uno smartphone personale possa essere molto dannoso così come aprire, prima dei 16 anni, un proprio profilo personale sui social media», sottolineano i firmatari.

Novara: «È ora di dare una svolta, come fu col fumo»

«Non è un appello simbolico, né una provocazione. Ci siamo confrontati con politici e istituzioni e c’è un consenso trasversale, da sinistra a destra. I tempi sono maturi, contiamo che l’Italia sia il primo Paese a dare una svolta. D’altro canto siamo il paese della più grande pedagogista dei tempi moderni, Maria Montessori. Non possiamo stare a guardare un’intera generazione annegare negli smartphone. La situazione è totalmente fuori controllo. Occorre intervenire, come si è fatto in passato con l’alcol e il fumo, con divieti specifici per età», spiega Daniele Novara a Donna Moderna.

Perché adesso?

Il tema è caro anche al ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, che ha vietato l’uso del cellulare fino alla scuola primaria di secondo grado, anche per scopi didattici. «Sicuramente si è creata una sensibilità a livello internazionale: lo dimostrano le richieste di molti genitori che si uniscono a quelle di addetti ai lavori, come i pedagogisti. Tutti si rendono conto che avere i figli che passano tanto tempo con gli smartphone rischia di danneggiare la loro crescita. In Francia se ne discute da tempo, come negli Usa, sia a New York che nella Silicon Valley, dove molti imprenditori mandano i figli in scuole dove non si usano i dispositivi digitali. Ma anche nel nord Europa si sta creando il movimento importante».

Quali danni ai giovani dagli smartphone

Come spiega Novara, i danni dei cellulari ai giovani di due tipi: «Uno riguarda l’isolamento sociale che provoca l’uso intenso di device: porta a desensibilizzare nei confronti delle esperienze reali, impedisce a bambini e giovani di provare esperienze concrete a vantaggio di quelle virtuali e quindi sostanzialmente inesistenti. C’è anche chi perde il sonno a causa dei social, con conseguenti danni neurologici. Poi c’è un problema di dipendenza», spiega Novara. «Il cervello emotivo dei minori è molto vulnerabile al sistema della ricompensa tipico dei social e dei videogiochi: si stimolano le aree dopaminergiche, quelle del piacere, che sono le stesse attivate, per esempio, dalle sostanze stupefacenti o dai like sui social».

Dalla dipendenza alla depressione

«La dipendenza può portare all’impossibilità di staccarsi da dispositivi digitali. Tutto ciò crea le basi per situazioni di depressione, disturbi psichici e senz’altro malessere nel vivere: non dimentichiamoci che si impara a vivere vivendo, non davanti a un videogioco – sottolinea il pedagogista – Il cervello adolescenziale punta alla ricompensa, senza la quale non fa nulla. Questo lo sanno bene gli psicologici che lavorano alla messa a punto dei dispositivi digitali e dei social, che non sono realizzati solo da tecnici informatici», spiega Novara.

Stop allo smartphone anche nelle scuole

Il limite di età nell’uso di smartphone e tablet invocato nell’appello riguarda anche lo studio: «Non siamo contrari alla tecnologia didattica: una lim, una lavagna digitale, può essere usata al posto di quella in ardesia, ma a scuola non si possono sostituire gli strumenti tipici dell’apprendimento: lavoro di gruppo, penna, scrittura e lettura – spiega ancora Novara – La didattica a distanza ha dimostrato che sostituire la scuola in presenza con quella virtuale crea danni: i nostri ragazzi si devono ancora riprendere dalla Dad del Covid. Le grandi ricerche, inoltre, hanno già mostrato l’aumento dei casi di disturbi dell’apprendimento, i Dsa. L’arrivo dell’intelligenza artificiale poi ci segnala che occorrono regole. Il divieto del Ministro credo sia dettato dal buon senso: non si può apprendere continuando a guardare lo smartphone in classe».

Scollegati dalla realtà, bombardati dal marketing

Novara spiega che l’urgenza nasce «dalla constatazione, supportata dalle evidenze scientifiche — per me pedagogiche, per Pellai terapeutiche — che l’uso degli smartphone ha generato una mostruosità in bambini e ragazzi. Abbiamo lasciato che diventassero il target del marketing senza le competenze neurocognitive per gestire il bombardamento a cui sono sottoposti per fini commerciali», sottolinea Novara, che dunque suggerisce, insieme a Pellai, di imporre un limite di età nell’accesso agli smartphone (14 anni, appunto) e ai social (16).

Perché i 14 e i 16 anni

«Il primo limite è dettato dalla volontà di tutelare infanzia e pre-adolescenza. Dai 15 anni si entra nell’adolescenza conclamata e le capacità neurocognitive sono migliori. Se un ragazzo fino a quel momento ha vissuto in modo normale, in adolescenza sarà in grado di fare scelte più consapevoli senza subire l’invadenza del mondo digitale e virtuale, senza rimanere appiattito dai device – spiega Novara – L’indicazione dei 16 anni per i social è motivata dalla prudenza, per avere maggiore tranquillità. Per entrambe è una convenzione, ma a fronte del fatto che oggi si dà un cellulare a un bambino di 5 anni, rappresenta già un passo avanti: un po’ come lo sbarco sulla Luna, un piccolo passo per gli astronauti, ma un grande passo per l’umanità».

Limiti come per alcol e tabacco

Come spiega ancora Novara, «vorremmo arrivare a una limitazione come per alcol e tabacco, che sono vietati ai minorenni. A quel punto, anche i genitori si allineerebbero. Oggi non ci sono limiti, è come consentire a un ragazzino di guidare un’automobile: nessuno lo farebbe, ma la legge lo vieta comunque – chiarisce Novara – Io credo che l’Italia possa ambire a fare primo passo, importante, come lo fece abolendo per prima la pena di morte, nel ‘700 e poi i manicomi. Siamo il Paese della Montessori, come ricordavo prima: abbiamo le carte in regola per provarci».