La pratica psicomotoria si fonda sulla convinzione che si possa apprendere anche attraverso la saturazione del piacere . Intendiamo in questo senso la pratica di certi giochi che sono comuni e naturali a tutti i bambini , qualsiasi sia la loro estrazione sociale o la loro cultura. Sono attività ludiche che si sviluppano spontaneamente e trovano le loro radici nel rapporto con la mamma , o comunque con quella che è la figura materna per il bambino.
Pensiamo quindi ai giochi di distruzione e costruzione, al rincorrersi, al comparire e scomparire! In qualsiasi parte del mondo ogni bambino porta dentro di sé questi giochi e, attraverso questi, evolve. Nell’ora di psicomotricità i bimbi possono utilizzare il loro corpo per esprimersi, proprio attraverso queste attività spontanee, come se fossero parole. E questo non può essere che terapeutico !
I quesiti che ci si pone davanti a questa disciplina sono tanti perché, anche se sempre più diffusa nei nidi e negli asili , risulta ancora pressoché sconosciuta alla maggioranza dei genitori. Bisogna innanzitutto dire che, come molte altre pratiche, i primi obiettivi della psicomotricità sono l’apprendimento e il benessere. A questo aggiunge però la volontà di sviluppare il legame naturalmente esistente tra corpo, pensiero ed emozione , elementi che spesso nell’educazione formale vengono vissuti come fattori separati, da sviluppare ognuno secondo il proprio segmento.
“La psicomotricità , al contrario, si basa sulla consapevolezza che queste tre dimensioni devono essere affrontate in maniera simultanea e che l’azione su una delle tre influenza le altre due” ci spiega infatti lo psicomotricista . L’intuizione di Aucouturier e Lapierre, nello sviluppo della pratica psicomotoria , è però fondamentalmente una ed è rivoluzionaria! E’ risaputo infatti che l’apprendimento per un bambino passa attraverso moltissimi fattori, come la ritualità o la sperimentazione. La psicomotricità ci dice che si ha la possibilità di apprendere anche attraverso la saturazione del piacere . “Il piacere non è inteso qui come un obiettivo generale di benessere, ma nello specifico vuol dire permettere al bambino di praticare determinate attività – che ogni bambino istintivamente fa – e che gli permettono di evolvere sia a livello psichico-cognitivo che psichico-affettivo” specifica Davide Fiorentini.
La pratica psicomotoria permette concretamente quindi di creare uno spazio in cui il bambino possa sperimentare liberamente, in tempi definiti, i materiali proposti. Attraverso il corpo un bambino si presenta e comunica con noi: il suo modo spontaneo di sfruttare lo spazio, muoversi, utilizzare quanto ha a disposizione senza linee guida serrate, sono un linguaggio molto chiaro per uno psicomotricista . È in questo modo quindi che un bimbo scopre se stesso e parte della sua storia… storia che sa rivelare ad occhi esperti qualcosa in più. “Possiamo comprendere a fondo le sue competenze , oppure le sue aree di sviluppo più avanzate, o ancora si possono rilevare alcune difficoltà, e così via” ci spiega infatti lo psicomotricista. La parola d’ordine affinché questa lettura da parte dell’esperto sia possibile è quindi una sola: spontaneità ! Non bisogna però commettere l’errore di confondere la pratica psicomotoria con il gioco libero all’aperto: qui infatti è presente anche una figura competente che sa osservare, aggiustarsi ai bisogni che vede in sala e intervenire quando e dove serve.
Davide a questo punto ci fa un grosso regalo: ci mostra la sala di psicomotricità e ci rende partecipi della struttura un incontro . La palestrina appare uno spazio libero e luminoso in cui sono presenti morbidi tappetoni e tanto materiale destrutturato . In un angolo sono disposte piccole sedie in legno e, proprio di fronte alle seggioline, sorge un “muro” costruito con blocchi colorati, grandi e morbidi.
Innanzitutto il bambino deve essere accolto e riconosciuto. C’è quindi un piccolo rituale iniziale di accoglienza in cui psicomotricista e bambini si siedono in cerchio, si salutano e ricordano insieme le pochissime regole della lezione: non ci si fa male e si tiene a mente che prima o poi il gioco ha una fine! La distruzione del muro e l’esplosione di gioia dei bambini introducono al secondo e più corposo momento: quello dell’espressività motoria , in cui ogni bimbo può fare quello che desidera con i materiali a disposizione. Spesso si nota che i bambini tendono ad essere più fisici nella prima parte di questo momento, raggiunta la saturazione del piacere passano in modo naturale al gioco simbolico , ovvero al far finta di essere qualcun altro. Ecco che la sala si riempie quindi di piccoli supereroi, principesse, pompieri e mamme che sbrigano le loro faccende in case fantastiche, costruite con i morbidi mattoni colorati che all’inizio erano parte del “muro”! Quando Davide valuta che sia giunto il momento adeguato arriva lo “stop”. Si passa dunque al momento della produzione , in cui i bambini si fermano e si dedicano a un’attività più tranquilla e “creativa”. A volte disegnano liberamente, altre volte costruiscono con la plastilina… come per la fase motoria i bambini si esprimono comunque in modo assolutamente spontaneo ! Infine c’è un piccolo rituale conclusivo in cui i piccoli possono mettere parola sulle loro creazioni, oppure Davide racconta una storia . Quindi si salutano felici e si danno appuntamento al prossimo divertente incontro !
Gli obiettivi che la pratica psicomotoria persegue attraverso gli incontri, strutturati generalmente così come li abbiamo visti nella palestrina di Mitades, sono principalmente tre. Il primo è favorire la capacità di passaggio dal piacere dall’azione (quindi da un momento di gioco più fisico) al pensiero (momento di disegno o costruzione). Questo ovviamente non perché il pensiero sia più importante dell’azione, ma perché ne è la naturale evoluzione .
“E’ scientificamente provato che dall’attività corporea derivino più possibilità di pensiero” specifica infatti Davide Fiorentini. Il secondo obiettivo consiste nella rassicurazione del bambino rispetto alle sue naturali mancanze, perché ogni essere umano porta dentro di sé quelli che potremmo definire dei “buchi”: è giusto che un bimbo non ne sia frustrato ma ne prenda coscienza per poterci lavorare sopra e migliorarsi dove possibile. Il terzo obiettivo è quello che gli esperti chiamano il “decentramento da sé stesso “. Con un passaggio netto si balza infatti da un’attività fisica ad una più tranquilla, di rappresentazione dell’azione che avviene attraverso una produzione come un disegno o una costruzione. Qui il bambino ha modo di vedere sé stesso e la propria emozione dall’esterno e la trasferisce proprio in questa parte dell’attività. Quindi spesso il suo disegno libero o la sua produzione in plastilina ci raccontano molto di quello che il piccolo prova o porta dentro di sé in quel particolare momento della sua vita.