Essere genitori non è un compito facile, né esiste un manuale da seguire alla lettera. Spesso ci si trova a gestire il nervoso dei propri bambini piccoli o le ribellioni di quelli adolescenti. Che fare? È meglio essere fermi o amorevoli, non cedere alle regole o assecondare malesseri e desideri? La risposta potrebbe stare in una definizione inglese: respectful parenting, un atteggiamento che oggi sembra trovare conferme anche dalle neuroscienze.

Gestire le tensioni con il respectful parenting

I capricci dei piccoli o i “no” degli adolescenti sono alcuni degli ostacoli che si trovano ad affrontare madri e padri, nel viaggio alla scoperta di un proprio stile genitoriale. Le strade possono essere diverse e ciascuno è chiamato a scegliere la propria, a seconda della propria indole e del carattere del figlio/a. Ma se negli anni si sono alternate “mode” (dalle madri tigri ai genitori medusa, delfino e via così, in una sorta di zoo umano), oggi le scoperte delle neuroscienze possono fornire un valido supporto a chi non ha ancora chiaro come gestire le tensioni in famiglia.

Cos’è il respectful parenting

Un aiuto viene dal respectful parenting, un approccio alla genitorialità seguendo i principi di Magda Gerber, la fondatrice di Rie (Resources for Infant Educarers), «un’organizzazione che si occupa di aiutare genitori ed educatori a trattare neonati e bambini con rispetto, sfatando i tanti luoghi comuni che riguardano la prima infanzia e l’età prescolare», spiega Silvia D’Amico, parent coach certificata, nota come autrice del podcast “Mamma Superhero” e autrice di L’arte del Respectful parenting. Come superare gli ostacoli della genitorialità con amore e fermezza (Il Castello).

Rispetto è anche farsi rispettare

La premessa è che essere rispettosi non significa farsi mettere i piedi in testa, come la stessa D’Amico aveva pensato avvicinandosi inizialmente al respectful parenting: «Non ha nulla a che fare con il buonismo e l’anarchia. Propone, anzi, quello che le neuroscienze hanno confermato negli ultimi decenni: quando la relazione genitore-figlio è permeata di comprensione, empatia e supporto, il bambino ha la possibilità di crescere resiliente e sicuro di sé. Il genitore rimane una guida, che si approccia al piccolo con maturità emotiva».

Il genitore è un leader positivo ma non controllante

Questo approccio risente di un cambio di prospettiva rispetto al passato e all’educazione che molti genitori hanno a loro volta ricevuto: «Fino a qualche tempo fa si pensava che la disciplina fosse l’unica strada da percorrere per madri e padri che invece finiscono per diventare “bulli” nei confronti dei figli: il comportamento infantile, ma anche quello adolescenziale, è legato a condizioni neurofisiologiche e a competenze emotive che i bambini e i ragazzi non hanno ancora sviluppato. Occorre, quindi, che il genitore mantenga una leadership, ma consapevole e positiva, non centrata solo sul controllo. È un cambiamento che è avvenuto anche nel mondo del lavoro: il boss oggi è più approcciabile, meno distante e burbero, e ha una relazione più proficua con i collaboratori».

Quanti tipi di rispetto esistono

D’amico si interroga su quanti tipi di rispetto esistano, partendo dal presupposto che oggi occorra modificare qualche valore del passato: «Provenendo da una cultura siciliana, io stessa sono cresciuta associando il concetto di rispetto a una persona anziana, per esempio, o a un’autorità, mentre andrebbe esteso anche ai figli, pure a quelli molto piccoli, come i neonati. Spesso non ci accorgiamo che li trattiamo come oggetti, maneggiandoli se sono piccoli, o imponendo loro regole ferree quando crescono. Invece bisognerebbe dare spazio alle loro competenze e alla spinta ad autodeterminarsi come persone a sé».

Il respectful parenting in 7 punti

Entrando nel concreto, sono 7 le indicazioni pratiche del respectful parenting: 1. avere fiducia nel bambino; 2. creare un ambiente sicuro e stimolante per la crescita; 3. promuovere il gioco ininterrotto del bambino; 4. lasciare al bambino la libertà di esplorare; 5. considerare il bambino un partecipante attivo; 6. osservare il bambino in modo attento; 7. dare al bambino limiti chiari e costanti. Naturalmente si tratta di indicazioni che vanno poi declinate anche in funzione dell’età del figlio: che fare, però, se è adolescente?

Il rapporto tra genitori e figli adolescenti

Mantenere un rapporto sereno con un figlio teenager non è sempre facile, ma anche in questo caso il respectful parenting propone un approccio nuovo, partendo da un concetto suggerito dalle neuroscienze: «Il nostro comportamento riflette il nostro stato di agitazione o serenità. Se ci si sente al sicuro, è più semplice mantenere una comunicazione aperta. Questa condizione, però, in adolescenza è complicata da una serie di fattori, compreso un certo trambusto ormonale. Per questo capita di frequente che si inneschi un cortocircuito dal quale il genitore non sa come uscire», conferma la parent coach.

Cosa dicono le neuroscienze

«Spesso riserviamo l’autocontrollo, la gentilezza e i sorrisi agli estranei, mentre quando torniamo a casa ci sfoghiamo sia riversando la frustrazione sui figli, sia non riuscendo a controllare alcune emozioni che proviamo verso di loro, di fronte magari ai loro capricci o al loro comportamento oppositivo. Si tratta di una reazione legata al sistema nervoso. La teoria polivagale di Stephen W. Porges, ad esempio, ci ha dimostrato che spesso agiamo spinti dall’istinto di protezione: se percepiamo una minaccia usciamo dal nostro stato di rilassatezza. Le possibili reazioni sono due: entriamo in modalità attacco-fuga e quindi pensiamo di superare il pericolo tramite la lotta o la fuga; oppure scegliamo il freezing, cioè il collasso del corpo. In altre parole non prendiamo decisioni», spiega D’Amico.

Dove entrano in gioco le neuroscienze

Il genitore, dunque, dovrebbe imparare a riconoscere sia il proprio stato d’animo, sia i motivi del comportamento del figlio che spesso, come spiegano le neuroscienze, semplicemente non ha gli strumenti per superare le difficoltà che sta vivendo. Per esempio, «la corteccia prefrontale dell’essere umano, che pertiene alle competenze logiche, al ragionamento e a tutte le funzioni esecutive, non matura prima dei 20-25 anni, e quindi ci saranno tanti momenti in cui i bambini non hanno le risorse per fare ciò che chiediamo loro. C’è chi li definisce i bambini oppositivi, sfidanti, disobbedienti. Io credo che semplicemente sentano un bisogno e provino a soddisfarlo come possono. Se la nostra richiesta in quel
momento non li aiuta in quella direzione, inizia il conflitto. Sta a noi guidare con abilità e lucidità», dice la coach.

La terza via

È in questo che consiste la terza via. «Se il bambino piange, si può decidere di sgridarlo oppure di ignorarlo, finché non smetterà da solo. Oppure possiamo scegliere di prendere le redini della situazione, confortandolo, cercando di rassicurarlo. Se è piccolo, infatti, non ha ancora sviluppato la capacità di autoregolarsi e capire perché si sente a disagio, in allerta, e dunque piange. Ma una condizione analoga può capitare a volte anche agli adulti, che infatti sentono il bisogno del supporto di un amico o di un partner», osserva D’Amico. L’obiettivo, quindi, è ristabilire una comunicazione con i figli, che passa dalla rassicurazione.

Come gestire gli adolescenti

Tornando agli adolescenti, «spesso la fonte dei problemi sta nel desiderio di controllo di un genitore nei confronti del ragazzo o della ragazza. Tante volte si vorrebbe evitare loro di commettere errori, perché da genitori si ha una visione di lungo periodo. Se, per esempio, non vogliono studiare ci si impunta nel costringerli a farlo. Ma sarebbe più utile lasciare che sbaglino, che prendano brutti voti, imparando le conseguenze dei loro comportamenti, entro un certo margine. In caso di errori, però, è utile evitare punizioni o umiliazioni, ma è meglio esserci, magari insegnando loro come superare la situazione».

Si può cambiare stile genitoriale?

Ma se ci si rende conto di aver seguito uno stile genitoriale non adatto, è possibile cambiare rotta? «Certamente, perché nessuna madre o padre agisce volendo essere un cattivo genitore! Se ci si rende conto che ci sono aspetti non positivi della relazione coi figli, è utile chiedere scusa e “armarsi” degli strumenti giusti per intraprendere una nuova strada», spiega la coach, che parla di intelligenza emotiva, una competenza che si può imparare a sviluppare.

Sviluppare l’intelligenza emotiva

D’Amico fornisce in questo senso alcuni consigli pratici: «Diventare consapevole delle parti di te che non ti piacciono (pensieri, parole, comportamenti); imparare a conoscere, accettare e nominare tutte le emozioni, ma anche riuscire a comunicare con il tuo sistema nervoso – suggerisce l’esperta – In questo caso ricordo che più di qualsiasi altro mammifero, l’essere umano ha un sistema nervoso profondamente orientato alla connessione e alla comunicazione con gli altri. Per questo, la regolazione del sistema nervoso non avviene solo attraverso pratiche individuali, ma anche, e soprattutto, attraverso relazioni sicure e significative con gli altri».

Curarsi anche di se stessi

Tra gli altri consigli c’è quello di coltivare la self-care, che «non riguarda solo momenti occasionali di cura di sé, come farsi una doccia o andare dal parrucchiere. Stiamo parlando di cura fisica, mentale, emotiva, relazionale, spirituale. Siamo spirito, anima e corpo e quando diventiamo genitori non ci trasformiamo in alieni robotici invincibili. Siamo ancora di più soggetti a fatiche e stress che possiamo compensare con adeguate pratiche di self-care».

La “finestra di tolleranza”

È bene poi creare una “finestra di tolleranza”. «Si tratta del «livello di attivazione emotiva che possiamo gestire senza venire sopraffatti dalle nostre emozioni. Quando siamo sopra o sotto, il nostro sistema nervoso va in tilt e perdiamo la capacità di autoregolarci. Lavorare per espandere la propria “finestra di tolleranza” è un obiettivo chiave per migliorare la gestione dello stress. Monitora quando ti senti fuori controllo o sopraffatto (sei sopra la finestra) o quando ti senti intorpidito e dissociato (sei sotto la finestra)».

Il journaling e il mestiere di genitore

Infine D’Amico esorta a «inserire il journaling come pratica di scrittura riflessiva», concludendo: «Essere genitori – riassume – è un po’ come navigare in mare aperto, a volte non si hanno ben chiari gli obiettivi. È bene, quindi, fermarsi a riflettere e cercare di migliorarsi in un percorso di crescita genitoriale».