Non sono poche le mamme che, durante l’ultimo anno di scuola materna, avvicinano i figli alla lettura e alla scrittura. Alcune, addirittura, impartiscono vere e proprie lezioni a bambini non ancora seienni. Ma imparare a leggere e a scrivere prima della scuola primaria è consigliabile? Oppure si rischia di commettere persino qualche “danno”?
Per fare chiarezza, abbiamo chiesto il parere di Antonella Meiani, maestra molto amata e autrice del libro “Tutti i bambini devono essere felici” (Terre di mezzo Editore).
Appagare una curiosità, senza mai forzarli
A volte i bambini manifestano il desiderio di scrivere e/o di leggere già durante la scuola materna. O, a volte, sono le mamme a forzare questo tipo di pre-apprendimento, con la speranza che i figli possano poi trovarsi in qualche modo avvantaggiati una volta giunti sui banchi di scuola.
«Se è il bambino che manifesta il desiderio di leggere o di scrivere qualcosa (dal proprio nome alle parole che più lo incuriosiscono), ben venga. I genitori possono mostrargli come scrivere o leggere lettere e parole, lasciandolo poi libero di sperimentare. Ma se sono i genitori a insistere perché il bambino legga e scriva prima dell’ingresso alla scuola primaria, il discorso cambia. Infatti, al centro di tutto va sempre messo il bambino. Dunque, i figli non andrebbero mai forzati a leggere o a scrivere prima del tempo. Se esprimono curiosità e chiedono di imparare, invece, non vi è ragione per tarpar loro le ali. Diciamo che può succedere, però, che bambini già capaci di leggere e scrivere i primi mesi di scuola possano annoiarsi. In questi casi, spetta all’insegnante trovare il giusto equilibrio assegnando loro compiti particolari. È anche vero che, partendo tutti da uno stesso punto, la classe riesce a trovare più facilmente un suo “ritmo”» spiega Antonella.
Lettura e scrittura
Come precisa Antonella Meiani, vi è poi una sostanziale differenza tra lettura e scrittura in tal senso.
«Una volta che si sa leggere, si è imparato a leggere. Invece, per imparare a scrivere è necessario seguire un metodo. E questo tipo di metodo è diverso da insegnante a insegnante. Se una mamma o un papà insegnano al bambino a scrivere prima di andare a scuola, quest’ultimo potrà poi trovarsi di fronte a un metodo (quello della maestra) diverso dal metodo usato dai genitori. Tutto ciò può generare confusione nel bimbo e, in generale, all’interno della classe. Quindi, consiglio di affidare l’apprendimento della scrittura all’ambito della scuola primaria» continua Antonella.
«Se nella classe sono presenti bambini che sanno già leggere o scrivere, la maestra dovrà armonizzare i talenti creando un equilibrio: soprattutto, evitando che questi bambini tendano a “scavalcare” gli altri» ci spiega Antonella.
Rispettare le diverse età
Vi è, poi, un ulteriore aspetto da considerare quando si valuta l’opportunità di insegnare a un bambino della materna a leggere o a scrivere.
«Imparare a leggere e a scrivere richiede un impiego di tempo. E questo tempo viene inevitabilmente sottratto ad altre attività, che io ritengo cruciali per un bambino in età pre-scolare. Non dimentichiamo che la scuola materna è una sorta di “epoca d’oro”, ovvero un momento magico della crescita in cui i bambini possono dedicarsi ad attività fondamentali per il loro sviluppo psico-fisico. Alla scuola materna, i bambini possono ancora giocare per ore, manipolare, ballare, cantare, imparare gesti e azioni manuali fondamentali per la crescita. Per esempio, sottoporre un bambino della scuola materna alla frequente compilazione di schede di pregrafismo significa, in parte, sottrarre del tempo a quel tipo di attività “fisiche” e sensoriali. Per me, è più importante che i bambini arrivino alla scuola primaria con competenze legate alla loro età (per esempio, sapersi allacciare le scarpe)» spiega Antonella Meiani.
La chimera di evitare ai figli le difficoltà
Entriamo qui in un terreno un po’ ostico ma sicuramente sempre più attuale. Le mamme (ma anche i papà) oggi tendono a voler evitare difficoltà e impedimenti ai figli, a “rastrellare” loro la strada nella speranza di rendere la vita più facile e meno problematica.
«Esiste una tendenza diffusa: il desiderio di evitare le difficoltà ai figli, di metterli in condizione di non soffrire (per esempio, attraverso errori e piccole delusioni). In questo modo, però, si dimenticano sia il ruolo della scuola, sia l’importanza dell’errore e della difficoltà per la crescita dell’individuo. Infatti, ci si evolve e si cresce proprio attraverso gli errori. E il ruolo fisiologico della scuola è quello di seguire esigenze e talenti del bambino, portandolo anche a sbagliare e a trovarsi in difficoltà (per difficoltà, non intendiamo abusi o gravi situazioni). Qui, i genitori svolgono un ruolo di sostegno e di incoraggiamento durante il percorso scolastico. Sostegno che, però, non dovrebbe mai diventare “invasivo”» conclude Antonella.
Tutti i bambini devono essere felici. E la conquista della felicità passa anche dall’apprendimento e dagli errori, vissuti in un ambiente sereno in cui tutti i piccoli adulti di domani abbiano le stesse opportunità e imparino a valorizzare le differenze come ricchezze. L’ansia, la fretta e le angosce del mondo adulto non dovrebbero trovare spazio in un percorso che richiede tempo e pazienza. Buone “basi” sono importanti perché, poi, l’adultità sia più consapevole e finalmente anche più coraggiosa.