È luglio, rifioriscono i genitori per quella settimana all’anno libera, dopo la partenza dei figli. Li puoi cogliere in giro mano per mano con un sorriso ebete stampato in faccia, il naso che ritorna all’insù dopo mesi di child-watching, ebbri già prima del primo Spritz dell’anno senza una manina bisunta che si freghi pizzette e patatine. Li riconosci perché sono freschi di doccia, hanno abiti finalmente stirati, magari sono persino reduci da un po’ di petting per carburare la serata. Non te lo diranno mai ma hanno appena fatto nudismo per casa perché la libertà, quando c’è, va toccata con mano.
E pace se sono ancora pallidi come merluzzi a metà estate, pace se sono intorno ai 50 e la mollezza avanza, pace se rimandano la questione tende alle finestre da almeno 3 anni così finiranno su Tinder. Camminano liberi, soli, ogni tanto si voltano come per un gesto rifesso, come sentissero un arto fantasma attaccarsi piangente al polpaccio, ma dura poco perché si stanno godendo il “time of their life”. Ovvero quel lasso di tempo breve, brevissimo, che unisce in un’unica grande community la genitoranza italiana nel solo momento dell’anno senza fgli tra i piedi perché li hanno mollati in qualche sperduto campus estivo a farsi mangiare vivi dalle zanzare.
La libertà ritrovata
Costa come un all inclusive di un mese a Miami ma la libertà – si sa – rende l’Iban generoso e soprattutto trasforma i padri in gaudenti rocchisiffredi di provincia. E così, tra finte lacrime e addii, comincia la più bella settimana della nostra vita. Faccio parte di questa amena tribù da quasi 18 anni e ancora mi stupisco di come si possa cinicamente gioire di un’assenza così macroscopica. Anzi, più vado avanti più la felicità si trasforma in reale euforia. Lo scrivo minuscolo ma andrebbe letto maiuscolo: io questo vuoto me lo merito. È mio sacrosanto diritto svegliarmi nel lettone per almeno 7 giorni su 365 senza un piede sudato numero 33 spiaccicato sulla faccia.
Settimana libera senza figli: riscoprirsi
Senza dover fare del multitasking una insana discesa verso l’inferno. Azzero, riparto, rivivo, rifiato, respiro. Riscopro (ebbene sì) di essere una femmina e di dividere il letto con un maschio più alto di 130 cm, di essere la metà di una coppia, l’amica di alcune amiche, la sorella di più sorelle. Mi accorgo di avere ancora un bioritmo personale che era nascosto sotto montagne di lavatrici da fare, bisogni micro e macro da soddisfare, pasti da raffazzonare, liti tra fratelli per il dominio su Netflix da sedare. Lì sotto, schiacciato dal peso del carico fisico e mentale e di un empowerment che arranca, c’ero io. Che nella vita mi ispiro idealmente a una come Annie Ernaux, premio Nobel a 80 anni suonati e scopatrice seriale, ma poi mi trovo sempre sul divano a scrollare gli Ig delle Mammedimerda. O a scansare i video tutorial del livello 153 di Minecraft prigioniera dell’algoritmo di Zuck. Ovviamente una buona mezz’ora è dedicata ai gatti di TikTok.
Perché meritiamo questo detox
A 49 anni quasi 50 vivo uno stato catatonico perenne causato da cure parentali intensive prolungate nel tempo (due figli maschi a distanza di 9 anni) che se lo racconti a una Millennial ti trascina in tribunale. So di fare male alla causa delle giovani femministe, le capisco, le ammiro, le adoro, ma con la maternità tardiva ho raggiunto il mio nirvana: la mediocrità genitoriale. Fatta, per dirla come le MdM, di una equa distribuzione delle bevande: ai bimbi biberon riempiti di Nesquik, alle mamme calici di Prosecco dalle 18 in poi. E chi inizia prima sa di avere un problema. Il limite orario fa la differenza perché l’alcol oggi è una dipendenza socialmente accettata solo quando aiuta a sopravvivere ai rituali familiari triturizzanti.
In sostanza, se a bere è un gruppo di madri che nelle chat private si chiamano “mamme alcoliste” va bene, è divertente, si ride, si esce sotto casa e poi tutte kaputt nel letto. Se lo si fa da soli, da sole, nel silenzio delle proprie frustrazioni casalinghe, è un problema che ne richiama un altro molto serio, quello del burnout genitoriale. Il crinale sul quale ogni padre o madre si aggira pericolosamente in bilico quando il peso è sbilanciato e non c’è mai spazio per fatare.
Ecco perché quell’unica meravigliosa settimana di libertà può davvero salvarti e riportati in bolla: è un detox che rimette in fila gli astri, ributta ossigeno nei polmoni, ti ricorda che non sei solo una dispensatrice di fazzoletti per il muco e di frutta tagliata a pezzettini. Non sei solo una rimboccatrice di letti, un pungiball per gli ormoni di tuo figlio adolescente, due chiappe in bilico sulla seggiolina di un asilo alla fine dell’anno. Tu sei. Tu esisti. E il mondo per una settimana è tuo. Goditelo finché dura.
Prendi per mano quel tuo coinquilino che incroci ogni tanto per casa in mutande da una decina di anni, fingi di non vedere che la sua pancia aumentata e uscite felici e leggeri. Noi non siamo andati poi tanto lontano perché se vivi in cattività tanta euforia tutta insieme non si regge. L’entusiasmo a un certo punto inizia pesare e la serata assomiglia sempre più a un set di “Primo appuntamento”. Mangiucchiate le patatine fritte, ripartito il dolce con due cucchiaini, ci mancava solo quel gran bell’ometto di Flavio Montrucchio per l’intervista di fine puntata: allora ragazzi (sì vabbè) come è andata, vi piacete? Mah sai sono passati tanti anni, siamo un po’ fuori allenamento… E poi adesso scusa ma dobbiamo proprio correre, che se perdiamo lo slot telefonico delle 20-21 al campus poi il piccolo ci sgrida. E magari l’anno prossimo ci salta pure la vacanza.
La nostra eh
Settimana libera senza figli: no al senso di colpa
Stare senza figli fa bene? Sì, ma non è sempre facile vivere questa libertà serenamente «perché dietro
l’angolo c’è il senso di colpa che viene consegnato insieme al certificato di nascita» dice con ironia
Camilla Stellato, psicologa e psicoterapeuta, autrice di “Diventare genitori” (Mondadori) e divulgatrice su
Instagram. Che qui dà 3 consigli:
- Prova a disegnare la timeline dell’arco della vita:
quanto può impattare una settimana all’anno? E fossero
anche di più, poco cambia. Se vissuti con ansia, quei 7
giorni sembrano dilatati. - La detox week è bella, ma non basta. Bisognerebbe
avere dei rituali di connessione di coppia durante
tutto l’anno, anche semplici e sostenibili: la mattina
ti preparo il caffè, andiamo a una presentazione di un
libro, usciamo a cena. - Prendila come una vacanza urbana e non un tempo
che dedichi solo a ritinteggiare casa o ad assolvere a
un altro compito: in questi 7 giorni privilegia i voglio
anziché i devo.