“Tu sei mio figlio, io ti ho generato!”: questa formula liturgica (la citazione viene dalla Lettera agli Ebrei, versetto 5) sarà utilizzata nel Rito della Benedizione delle adozioni. Non si tratta di un’esperienza isolata nel panorama ecclesiale: alcune Chiese di rito orientale (cristiani ortodossi) celebrano da tempo una liturgia per la benedizione dell’adozione.
Da qui l’idea di Ai.Bi. (associazione Amici dei Bambini) e de La pietra scartata (associazione di fedeli, costituita da famiglie adottive e affidatarie) di approfondire il significato della celebrazione e comprendere i fondamenti di una simile pratica nel convegno “Un’adozione benedetta” (sabato 16 maggio 2009, Fondazione Ambrosiana, via S. Antonio 5, Milano).
Il rito è rivolto a coloro che non vogliono confinare l’esperienza dell’adozione all’interno della famiglia, ma vorrebbero farne testimonianza alla propria comunità. Inizialmente viene ripreso il rito del matrimonio, i coniugi ripetono le promesse e viene poi recitata la formula “Tu sei mio figlio, io ti ho generato nell’amore”.
“Abbiamo predisposto un testo che è stato sottoposto all’Ufficio liturgico nazionale” spiega Gianmario Fogliazza, responsabile centro studi di Ai.Bi. Si attende una risposta entro la fine del 2009.
Don Paolo Tomatis (Direttore dell’Ufficio liturgico diocesano di Torino e Membro della Consulta dell’Ufficio Liturgico Nazionale) spiega l’importanza di questo rito: “Dove la vita è accolta, riscattata, aperta all’accoglienza e all’amore, il bene vince il male e l’incontro con Gesù si svela nella forma misteriosa del bambino prima abbandonato ed ora accolto”.
Un segno che puo’ precedere il battesimo, ma non necessariamente: “Anche là dove il battesimo non può essere proposto, per diversi motivi che vanno dalla fede del bimbo adottato al cammino di fede e appartenenza ecclesiale dei genitori, la possibilità di un rito più morbido, che attinge al grande tesoro delle benedizioni della Chiesa, si rivela un’opportunità molto significativa per rivelare il nesso che lega le esperienze più umane della vita con l’esperienza della fede e con la storia di Gesù. L’accoglienza del bambino abbandonato emerge sempre più come un’esperienza “normale”, nel suo essere speciale”.