In certi casi è più facile condannare piuttosto che studiare e cercare di capire. I videogames sono proprio uno di questi casi: demonizzare aiuta a chiudere le ansie in un cassetto senza tenere però conto di quelle che potrebbero essere le opportunità.
Il mondo dei videogiochi inserito nella quotidianità di un ragazzo è paragonabile a un libro, un film, una poesia. Si tratta di strumenti che non servono solo a intrattenere ma anche a scatenare una reazione a livello emotivo: arrabbiarci, divertirci, commuoverci o anche solo farci passare il tempo come farebbe qualunque altro hobby.
Il punto è che i videogiochi sono un mezzo che può essere usato a fin di bene. Ma può anche creare dipendenza e conseguenze disastrose. Spesso questa ambivalenza viene trascurata: è più facile dare la colpa al mezzo in sé che alle regole di gestione di quel mezzo stesso.
Un esempio? I genitori dovrebbero conoscere e attenersi al codice PEGI che indica la fascia d’età alla quale è adatto il gioco in questione, invece spesso viene ignorato.
La soluzione sarebbe quella di educare al videogioco sia i figli che i genitori con delle regole da rispettare e un po’ di buonsenso per applicarle. Perché qual è il senso di consentire a un ragazzo di guardare un film horror o un thriller senza la presenza di un adulto e vietargli, poi, di giocare a un videogioco considerato violento?
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Quindi prova a fermarti a guardare quello che fa. Prova a entrare nel suo mondo, a essere curioso di esplorarlo. Cerca di conoscere quello che credi sia un nemico, prima di giudicarlo: solo così potrai fare in modo di scegliere in maniera consapevole cosa è meglio per tuo figlio. Non tutto ciò che è salutare fa sempre bene così come è vero il contrario.
La conclusione, quindi, è che aveva ragione Paracelso a dire che è la dose a fare il veleno: conosci il pericolo e dosalo nella maniera giusta per un utilizzo corretto e consapevole.