Diversità, equità, inclusività: in un acronimo DEI. Sono quelle che dovrebbero essere alla base di politiche del lavoro che riducano il gender gap, di cui sono vittime le donne. Nonostante il traguardo verso una parità di genere tra lavoratrici e lavoratori siano ancora lontane, molte aziende hanno compiuto passi avanti, stando alla classifica delle 20 migliori aziende in cui lavorare, il ranking Best Workplaces for DE&I.

L’importanza di ambienti di lavoro inclusivi

A stilare la graduatoria è stata Great Place to Work Italia ascoltando il parere espresso da oltre 127mila collaboratori (127.489) di quasi 300 organizzazioni. Il primo dato che emerge dalla ricerca è l’importanza dell’ambiente di lavoro e della cultura aziendale. Sono due elementi presenti e ritenuti centrali dall’87% dei lavoratori intervistati e che hanno permesso alle aziende nelle quali si trovano di entrare nella top 20.

Quando un’azienda pratica l’inclusività

«Un Great Place to Work For All è un ambiente in cui tutti, indipendentemente dalle caratteristiche personali, dal ruolo ricoperto e dalle mansioni svolte, riconoscono di lavorare in un’azienda eccellente per la sua cultura organizzativa – spiega Alessandro Zollo, CEO di Great Place to Work Italia – Le organizzazioni che migliorano la strategia DE&I sono in grado di massimizzare il potenziale umano grazie a leadership efficace, condivisione di valori significativi e solidi rapporti di fiducia con tutti i dipendenti. Grazie a queste caratteristiche, i luoghi di lavoro leader in termini di diversità, equità e inclusione beneficiano di una maggiore equità di trattamento, più innovazione, assunzioni più semplici e minor turnover».

La classifica dei migliori posti per inclusività

Entrando nel merito della classifica, sul podio figurano Teleperformance, GalileoLife e Cisco. La prima è leader mondiale nell’offerta dei servizi di contact center e ha le sedi principali italiane a Fiumicino e Taranto. GalileoLife, con sede a Maglie (Lecce), supporta il settore farmaceutico, mentre Cisco Systems Italy opera nel campo delle tecnologie al servizio delle comunicazioni e ha il quartier generale in Brianza (a questo link la classifica completa: https://gptw.greatplacetowork.it/blog/risorse/employer-branding/ecco-la-classifica-diversity-equity-inclusion). Sono presenti, dunque, anche imprese che operano nei servizi professionali, biotecnologie e farmaceutica, manifattura e produzione (10%), mentre chiudono sanità, alberghiero, media, telecomunicazioni e trasporti (5%).

I settori più virtuosi per inclusività ed equità

Scorrendo il ranking italiano, dunque, al primo posto si trova l’Information Technology (25%), seguito dai servizi finanziari e le assicurazioni (20%). «La massiccia presenza di aziende di questi settori è particolarmente interessante, considerando che questi non sono settori noti per lavorare sulla cultura organizzativa e ancor meno sulle tematiche di DE&I», spiega ancora Zollo. «Uno dei motivi potrebbe essere il fatto che, non avendo macchinari di produzione da gestire o punti vendita, la qualità del lavoro dei propri dipendenti diventa un vantaggio competitivo. Per questo di recente in questo settore si sta puntando molto all’attenzione alla diversità», osserva Zollo.

Poche donne, ma valorizzate

Considerando che l’IT è prevalentemente composto da uomini e giovani, mentre quello dei servizi finanziari e assicurativi ha una maggior presenza di lavoratori senior, potrebbe però risultare difficile comprendere il risultato della classifica. Una delle spiegazioni è che se è vero che ci sono meno donne impiegate in questo comparto, quelle che vi lavorano sono più valorizzate: «È così. Da un lato è vero che pesa il minor numero di lavoratrici nel settore tecnologico, ma dall’altro i criteri di valutazione delle aziende in termini di equità e non discriminazione le premiano, laddove ci sono. Non va poi dimenticato che questi parametri si applicano non solo a differenze di genere, ma anche di età o origine, oltreché sull’abbattimento delle discriminazioni all’interno delle carriere e a sostegno della meritocrazia».

Servono trattamenti equi e sicurezza psicologica

Tra le caratteristiche che deve avere un’azienda per essere considerata attenta al DE&I, ci sono equità del trattamento, accessibilità e coinvolgimento da parte dei manager, assenza di discriminazioni basate su caratteristiche personali, ambiente inclusivo e accoglienza, sicurezza psicologica garantita dall’azienda e possibilità di bilanciare vita personale e lavoro. «Si tratta di indicatori che concorrono a far sì che non ci siano differenze tra lavoratori, premiando la minor distanza tra addetti di età diversa, genere differente e nei rapporti tra management e collaboratori», spiega Zollo.

Cosa si intende per sicurezza psicologica?

Particolare attenzione merita il parametro sulla sicurezza psicologica: «Viviamo un momento importante da questo punto di vista, specie dopo la pandemia. Le organizzazioni più avanzate hanno capito che le persone – e non solo i giovani – sono molto attente alla propria salute. Per questo stanno mettendo in atto policy che offrono possibilità di confronto con esperti, se hanno momenti di eccessivo stress, o l’opportunità di avere un coach o mentor nei momenti particolari, o persino un supporto psicologico vero e proprio. Alcune aziende hanno creato sale adibite al rilassamento o luoghi dove rienergizzarsi. Il cosiddetto well being, è importante anche per il datore di lavoro: intanto perché è molto richiesto, specie dai giovani (e in particolare dalla Generazione Z); poi perché aumenta la possibilità di attrazione e chi ne gode abbandona meno l’organizzazione», spiega l’esperto.

A che punto è l’Italia nell’inclusività?

Se molte aziende in classifica sono multinazionali o con sedi internazionali, l’Italia «non è messa poi così male come si potrebbe pensare. Oggi si parla molto di diversità in azienda e ne parlano anche le grandi realtà italiane – osserva Zollo – Purtroppo resta un gap rispetto alla media europea. Da una ricerca che abbiamo appena concluso, condotta su 30mila lavoratori, emerge che l’Italia è ultima su 21 Paesi europei in termini di fiducia nel proprio management». Paradossalmente da questo punto di vista le piccole e medie imprese italiane (che rappresentano anche la maggior parte delle realtà produttive) discriminano meno perché le strutture più grandi sono più difficili da gestire ed è complicato intervenire nei casi di storture».