Naspi, perché se ne parla tanto in questi giorni? Perché dal 1° gennaio 2025 la norma che regola questa misura (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego) dovrebbe cambiare.
Naspi: cos’è
La Naspi è stata introdotta dal decreto legislativo 4 marzo 2015, n.22 e viene erogata su domanda dell’interessato. Si tratta di una indennità mensile di disoccupazione per lavoratori con rapporto di lavoro subordinato, che viene erogata in caso di disoccupazione involontaria, purché si sia verificata a partire dal 1° maggio 2015.
Cosa cambia
Un emendamento alla manovra finanziaria prevede che dal 1 gennaio 2025 i lavoratori che hanno dato dimissioni volontarie da un lavoro a tempo indeterminato nei 12 mesi precedenti, avranno diritto alla Naspi in caso di licenziamento da un nuovo impiego solo se hanno almeno 13 settimane di contribuzione dal nuovo impiego, perso il quale si richiede l’indennità.
Perché questa modifica
Dal governo si spiega che questa modifica intende limitare il cosiddetto fenomeno dei «furbetti della Naspi», ovvero dimissioni e rioccupazioni molto spesso di breve durata o intermittenti, per ottenere appunto la Naspi o evitare alle aziende di pagare il ticket di licenziamento.
La norma ha «una finalità antielusiva», ha spiegato la ministra del Lavoro Marina Calderone, sottolineando che l’emendamento da parte dei relatori al Ddl bilancio «attiene alla situazione in cui c‘è un’interruzione di un rapporto di lavoro a seguito di dimissioni volontarie e c’è l’instaurazione di un altro rapporto di brevissima durata, che si conclude con un licenziamento. Non è certamente un riconoscimento della Naspi a seguito di dimissioni volontarie. Quello sarebbe un aspetto diverso».
Come funzionava la Naspi
Fino al 2024 per beneficiare della Naspi occorreva essere stati licenziati (quindi non erano contemplate le dimissioni volontarie) e avere almeno 13 settimane di contribuzione nei 4 anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione. L’assegno era mensile.
L’importo della Naspi cambia a seconda del reddito percepito nei quattro anni precedenti la domanda di disoccupazione. Se il reddito percepito è più basso rispetto all’importo di riferimento stabilito dalla legge (e reso noto ogni anno dall’Inps con circolare pubblicata sul sito), l’importo della Naspi è pari al 75% della retribuzione media mensile imponibile ai fini previdenziali degli ultimi quattro anni.
Se, invece, la retribuzione media è superiore all’importo di riferimento annuo, la Naspi è pari al 75% dell’importo di riferimento annuo sommato al 25% della differenza tra la retribuzione media mensile e questo importo. A partire dal 91esimo giorno, all’indennità si applica una riduzione del 3% per ciascun mese. Nel caso di svolgimento di attività lavorativa, sia autonoma che subordinata, l’importo dell’indennità si riduce.
Cosa cambia dal 1° gennaio 2025
L’emendamento riguarda i casi di dimissioni volontarie dall’impiego precedente, resta cioè sempre dedicato a chi viene licenziato, ma con una novità. Quindi i lavoratori che hanno dato volontariamente le dimissioni da un lavoro a tempo indeterminato nei 12 mesi precedenti, hanno diritto alla Naspi in caso di licenziamento da un nuovo impiego solo se hanno almeno 13 settimane di contribuzione dal nuovo impiego. L’indennità non arriva quindi se, nella seconda azienda, non si è lavorato abbastanza a lungo per avere accumulato 13 settimane di contributi. Questo eviterebbe la situazione il ricorso a occupazioni brevi dopo la perdita del lavoro solo per ottenere la Naspi.
La novità non riguarda le dimissioni per giusta causa
Come riporta Il Sole 24 Ore, sono escluse dall’emendamento «le ipotesi di dimissioni per giusta causa, di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro intervenuta nell’ambito della procedura di conciliazione prevista per i casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, e le ipotesi di dimissioni nel periodo per cui è vietato il licenziamento in base al Testo unico di sostegno alla maternità e paternità».