La pagina Facebook di Ester Palmieri è ancora aperta, popolata di foto dei suoi tre figli, in scala: «I miei cuccioli», dice una didascalia. Ester è stata uccisa l’11 gennaio dal marito da cui si stava separando, che si è impiccato. Una tragedia nella tragedia perché adesso quei bambini sono orfani. Per la legge si tratta di “orfani speciali”, come quei tanti figli e figlie rimasti soli, senza più la mamma, uccisa dal padre che, se non si è suicidato, è in carcere.

Quanti sono gli orfani di femminicidio?

Per parlare di orfani di femminicidio si fa riferimento alla prima indagine nazionale sul fenomeno, avviata tra il 2000 e il 2014 in Italia grazie al progetto europeo Switch-off e in collaborazione con DiRe (Donne in rete). Gli aggiornamenti dell’indagine propongono però solo una stima e parlano di “oltre duemila” casi di bambini e bambini che hanno perso la madre perché uccisa dal padre.

Che vita faranno gli orfani di femminicidio

Tutti noi di fronte a storie simili ci chiediamo che vita avranno questi bambini, chi si farà carico di loro. Spiega l’avvocata Manuela Ulivi, fondatrice dell’Osservatorio Violenza sulle Donne: «Quando una donna viene uccisa in ambito familiare e lascia dei figli orfani, i servizi sociali avvisano il tribunale, che apre il fascicolo, per poi affidare i piccoli ai parenti in linea materna. Difficilmente vengono affidati ai parenti del padre, con cui i rapporti restano complicati: l’omicida nasce e cresce in un contesto violento, oppure omertoso. In alcuni casi vengono mandati in comunità protette, senza però distinguere questa tipologia di bambini rispetto ad altri rimasti orfani non per femminicidio. Quindi conoscere la loro condizione non è una procedura lineare, mentre sarebbe questo il primo passo per affrontare il fenomeno».

Fondo per l’indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti

Come non è affatto lineare accedere al Fondo per l’indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti, ovvero gli orfani di femminicidio, ma anche le vittime di stupro (per le quali esiste un indennizzo di 25mila euro). «Questo fondo esiste dal 2016 ma è poco utilizzato, sia perché nell’immediatezza del fatto regnano il dramma e lo sconcerto, sia perché è poco noto anche agli operatori del settore (assistenti sociali e insegnanti, per esempio). Prevede 60mila euro di indennizzo complessivo (da dividersi tra fratelli e sorelle), e grazie alla legge 4 del 2018 anche cure mediche e psicologiche gratuite fino a 18 anni. Si ottiene con una domanda alla Prefettura entro 60 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza penale, quindi non è una procedura che viene avviata in automatico».

Borse di studio e cure mediche gratis

Conferma il meccanismo farraginoso Agnese Dini, psicoterapeuta presso il centro antiviolenza Thamaia onlus di Catania e tutor di resilienza del progetto Respiro, selezionato da Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Il suo lavoro e quello dell’associazione Thamaia affiancala quotidianità degli assistenti sociali. «Nessuno dei 38 orfani che abbiamo preso in carico ha ricevuto l’indennizzo. Più semplice invece per l’assegno mensile dell’affido (300 euro a bambino) e anche per le borse di studio, previste dal fondo. Anche in questo caso, però, si deve aspettare la firma del giudice tutelare, e i mesi passano. Intanto i bambini crescono, alcuni magari si trasferiscono, altri non si riescono a contattare, o vivono in famiglie che non vogliono essere aiutate.

Meglio dire sempre la verità agli orfani

«Accettare la propria storia è difficile» dice Agnese Dini. «Spesso le famiglie scelgono il silenzio. Come quella di una ragazzina che stiamo seguendo e che perse la mamma a pochi mesi di vita. Nella famiglia dei parenti che l’hanno ottenuta in affido il dolore è troppo grande, ma soprattutto inespresso, per cui regna il silenzio. E se si cresce in una famiglia dove vige il non detto, si impara che le cose non si chiedono. Da poco però la ragazza ha saputo cos’è successo, tra le informazioni raccolte sul web e quelle trovate in paese, e siamo riusciti a offrire a lei e ai suoi cari un aiuto, soprattutto un aiuto verso la verità: gli studi concordano sul fatto che i bambini sono in grado di accettare la verità. Hanno solo bisogno di fidarsi di qualcuno che dica loro come stanno le cose. Se si ha il coraggio di dirglielo, loro possono concedersi di piangere e chiedere sostegno a loro volta».

Progetto Respiro: aiuti concreti e una rete preziosa

Non è facile neanche contattare e farsi accettare da certe famiglie. Agnese Dini ci racconta altre storie di bimbi senza la mamma, affidati ai nonni o zii materni, ma che intanto sono cresciuti, diventati maggiorenni, oppure mandati in comunità protette, quindi non più contattabili. «Dei circa 250 orfani di femminicidio che vivono nel Sud, 96 sono qui in Sicilia. Siamo riusciti a contattarne 40 e presi in carico 38. Entriamo nelle loro vite in punta di piedi, spesso affianchiamo gli assistenti sociali che per esempio attivano la scuola a domicilio e l’assegno mensile per l’affido. Noi invece ci occupiamo di alcuni bisogni concreti come iscrivere i bambini a karatè, parlare con i maestri, acquistare abiti e libri di scuola. Il Progetto Respiro è stato attivato nel 2021 e dura fino al 2025: lo scopo è far emergere il fenomeno, ancora non mappato, e mettere a punto modelli di intervento e strategie da condividere. Fondamentale è creare una rete di intervento, come stiamo facendo qui in Sicilia, per lavorare anche nelle zone più difficili da raggiungere».