Gli studenti hanno già iniziato il count down: i primi a tornare in classe saranno quelli della provincia autonoma di Bolzano (5 settembre), seguiti man man da bambini e ragazzi di tutte le Regioni, con gli ultimi a entrare a scuola che saranno quelli di Lazio, Puglia, Toscana, Emilia-Romagna, Calabria, Liguria, Abruzzo, Basilicata, il 16 settembre. Ma il mondo scolastico è ancora una volta in subbuglio: il motivo, ora, è un algoritmo utilizzato per le nomine dei supplenti.

L’algoritmo che non ha funzionato

L’avvio dell’anno scolastico rischia di essere incandescente, ma le temperature atmosferiche non c’entrano. Un primo assaggio della tensione si è avuto il 2 settembre quando a Milano un gruppo di insegnanti precari ha protestato presso l’Ufficio scolastico territoriale per denunciare il “malfunzionamento dell’algoritmo” che ha portato a nomine ritenute “sbagliate”. Secondo l’Adl Cobas «come l’anno scorso, sono numerosi i docenti scavalcati nonostante i lauti punteggi». Si tratta dei supplenti rimasti senza cattedra, nonostante – secondo i sindacato – avessero diritto a un posto.

Scuola: cosa è successo

«Il problema riguarda il meccanismo di nomina dei supplenti, in particolare le graduatorie a esaurimento (le cosiddette GAE) e quelle provinciali, tramite le quali si assume il 50% dei posti messi a disposizione», spiega Alessandro Giuliani, direttore de La Tecnica della Scuola. «Le contestazioni – prosegue Giuliani – riguardano il sistema informatizzato che permette di formare delle “sotto-graduatorie” per ogni singolo istituto: gli insegnanti, infatti, entro il 17 agosto dovevano indicare fino a un massimo di 150 preferenze riguardo alle materie e istituti nei quali fare supplenza ed essere immessi in ruolo. Il problema è che l’algoritmo che determina la nomina tiene conto anche di altri parametri».

Le “cattedre fantasma”

Il rischio, secondo i sindacati, è che si creino le cosiddette “cattedre fantasma”. «Quando si vanno a scegliere i precari per l’assegnazione delle cattedre, infatti, ce ne sono alcune che per vari motivi non sono realmente presenti nella disponibilità – spiega Giuliani – Questo può accadere, per esempio, perché molti insegnanti che erano inseriti su più sotto-graduatorie magari nel frattempo sono entrati in ruolo altrove, senza che fossero esclusi automaticamente dal sistema, oppure sono rimasti inclusi, ma magari di fatto non hanno accettato la proposta di cattedra, quindi quel posto rimane scoperto». I sindacati lamentano, dunque, ritardi da parte delle scuole nel comunicare all’ufficio scolastico la reale disponibilità di cattedre o la mancanza. Purtroppo non si tratta di una problematica nuova», osserva il direttore de La Tecnica della Scuola.

Il problema degli insegnanti di sostegno

Un’altra criticità, per la quale è stata indetta una nuova manifestazione mercoledì 4 settembre da parte di Gilda, uil e Cgil Scuola presso il ministero dell’Istruzione, riguarda invece gli insegnanti di sostegno. «In questo caso si chiede lo stop alla precarietà che caratterizza questi docenti, la creazione di una graduatoria permanente per il reclutamento e la gratuità della formazione, che ha costi elevati, anche di 2 o 3mila euro», spiega Giuliani. «Servirebbe uno snellimento delle procedure, promesso dal Ministro Valditara, perché su oltre 200mila cattedre, solo metà è di ruolo: le altre sono assegnate a precari e di questi almeno 80mila non sono specializzati».

Perché mancano ancora insegnanti

La cronica carenza di insegnanti, però, non è un problema nuovo. Al contrario si ripropone ogni anno, nonostante nuovi concorsi. Perché? «Perché i concorsi sono spesso accompagnati da ricorsi (come quello recentissimo per i presidi) che rallentano le graduatorie di merito – spiega Giuliani – C’è poi anche il problema che spesso il numero dei vincitori è inferiore a quello necessario messo a bando: significa che se un concorso era per 10mila persone, alla fine ne risultano abili magari solo 80mila, perché le selezioni sono severe e la preparazione dei candidati non è adeguata».

Il concorso “soft” e le polemiche

D’altro canto anche il recente concorso per 19mila posti, realizzato nell’ambito dei fondi del PNRR, è stato a sua volta accompagnato da polemiche, nonostante sia stato definito “soft”, con prove semplificate. «Le prove erano meno selettive e per passarlo occorreva aver ottenuto un punteggio di 7/10. Ma non tutti coloro che sono risultati idonei hanno ottenuto un posto, bensì solo i primi 19mila, ossia il numero per il quale era stato messo a punto. Tutti gli altri, pur risultando vincitori, non hanno ottenuto l’abilitazione, come era stato chiarito fin dalla vigilia del concorso. Da qui la minaccia di ricorsi, perché questi insegnanti – senza abilitazione – non possono essere inseriti nella prima fascia delle graduatorie, sperando quindi in una stabilizzazione futura più breve», chiarisce ancora Giuliani.

Altri problemi: le classi miste al nord

Fin qui i problemi degli insegnanti, ma esistono criticità anche riguardo ad alunni e studenti, come emerso da alcuni casi di cronaca: dalle classi con un alto numero di stranieri a quelle dove il problema è invece tenere in classe i giovani che altrimenti rischiano l’abbandono scolastico. Due problemi che riguardano rispettivamente il nord e il sud, in modo diverso. «Un recente report del ministero dell’Istruzione mostra come la maggior concentrazione degli stranieri – oltre il 25% – si trovi in Lombardia, mentre è l’Emilia Romagna la Regione nella quale, in rapporto alla popolazione scolastica totale, si registra il valore più elevato di studenti con cittadinanza non italiana con il 18,4%. A seguire si trova sempre la Lombardia», conferma Giuliani.

La dispersione scolastica al sud

«Al sud, invece, il problema principale riguarda la dispersione scolastica, che si attesta in media al 13%, ma con punte che sfiorano il 40% in alcune provincie, in particolare in Sicilia – osserva Giuliani – Gli anni più critici sono quelli tra la fine delle medie e l’inizio delle superiori, complice anche il fatto che nelle regioni del sud spesso i PCTO sono più deboli e c’è meno coinvolgimento del territorio». Per questo il ministro dell’Istruzione ha annunciato l’intenzione di ampliare il modello di “Agenda Sud” e di replicarlo anche per le scuole delle periferie del nord, chiamandolo “Agenda Nord”, con l’obiettivo di mettere a punto strategie mirate per le criticità di aree diverse.