Viviamo nell’era dell’Intelligenza artificiale, che ormai è a portata di click anche sugli smartphone (l’ultima in ordine di tempo a dotarsene è stata WhatsApp), eppure a scuola i protagonisti sono ancora i libri cartacei. Anzi, forse proprio ora e dopo la didattica a distanza del periodo Covid, se ne sta riscoprendo sempre di più l’importanza. A dirlo è una ricerca da cui emerge che per 7 insegnanti italiani su 10 i supporti digitali nelle metodologie di insegnamento non sono migliori rispetto ai libri cartacei e in generale ai materiali didattici tradizionali.

L’importanza dei libri di carta

Complice la pandemia Covid, gli strumenti digitali hanno fatto un balzo in avanti nella didattica a distanza: i tablet, insieme agli smartphone, erano diventati l’unico mezzo per consentire la didattica a distanza nel periodo del lockdown. All’epoca erano stati valorizzati e qualcuno aveva pensato che non si sarebbe più tornati indietro. Eppure qualcosa sta cambiando. A sondare il terreno è stata la European Teacher Survey 2024, un’indagine che ha analizzato quali fattori incidono sull’apprendimento delle studentesse e degli studenti delle scuole primarie e secondarie di 8 Paesi europei (Finlandia, Svezia, Paesi Bassi, Belgio, Germania, Polonia, Spagna e Italia).

I risultati dello studio

Secondo il 70% degli oltre 2.300 docenti italiani coinvolti nell’indagine, i libri cartacei non rivestono meno importanza rispetto ai device digitali. Insomma, nonostante una maggior informatizzazione della scuola, è troppo presto per relegarli in soffitta o considerarli un ricordo della “vecchia” scuola. A colpire, però, è anche il fatto che questa tendenza a mantenere anche i supporti tradizionali riguardi anche Paesi considerati all’avanguardia e che da tempo avevano fatto ricorso quasi esclusivamente alla tecnologia, come i Paesi del nord Europa.

I libri di carta piacciono anche nel nord Europa

Anche nel Paese di grandi scrittori come gli svedesi Stieg Larsson o Camilla Läckberg, i libri di carta restano importanti: per il 60% dei docenti delle scuole secondarie del paese scandinavo, infatti, i testi scolastici non solo stanno tornando ad essere centrali per l’insegnamento, ma sono persino definiti più rilevanti degli strumenti digitali. La pensa così anche il 57% degli insegnanti delle scuole primarie in Finlandia. «È un fenomeno da non sottovalutare, soprattutto perché arriva da zone dove i device sono utilizzati anche per consentire la scuola a distanza laddove ci sono condizioni climatiche spesso difficoltose», osserva Maria Angela Grassi, Presidente Nazionale dell’Associazione Nazionale dei Pedagogisti Italiani (ANPE).

Un passo indietro sui libri di carta anche negli Usa

Un fenomeno analogo, però, si sta verificando anche negli Usa. Dopo un ricorso massiccio ai tablet, forniti gratuitamente a tutti gli studenti dalle elementari fino alla high school, da un paio di anni in diversi stati si è tornati alla carta. È accaduto, ad esempio, in Virginia dove gli studenti, dopo anni di sola didattica digitale, senza libri né scrittura manuale, hanno dovuto reimparare a prendere appunti grazie al programma Avid. Non si tratta ancora di una retromarcia completa, ma ci si avvicina di molto. La ricerca, infatti, sembra mostrare quantomeno l’esigenza di una “convivenza” delle due metodologie.

Il giusto compromesso

Lo studio, che dal 2021 annualmente coinvolge oltre 10.000 insegnanti, ha lo scopo di individuare le sfide che riguardano il mondo scolastico e i processi di apprendimento. Un tema sicuramente attuale anche in Italia, dove il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, ha di recente vietato l’uso del cellulare, anche a scopi didattici. Un folto gruppo di esperti, trai quali pedagogisti, psicologi, neurologi ma anche molti vip, ha anche fatto discutere con la petizione per chiedere di limitare l’accesso proprio ai cellulari ai minori di 14 anni (e ai social agli under 16).

Device a scuola: sì o no?

«Il tema è noto ed è d’attualità, anche perché ci sono numerose ricerche di tipo medico che evidenziano i rischi e i limiti di un uso scorretto della tecnologia digitale, soprattutto per i più giovani. D’altro canto, pedagogisti come la Montessori ci hanno mostrato i vantaggi del ricorso ad altri materiali, alternativi, per la didattica scolastica, soprattutto nei casi di studenti e studentesse con bisogni speciali. Insomma, l’obiettivo credo che sia trovare un giusto compromesso per un apprendimento moderno, ma efficace», spiega Grassi. Per l’esperta questo significa non prescindere dalla realtà contemporanea nella quale si vive.

Libri di carta e penna, ma non solo

«Il problema penso che sia fare in modo che il processo preliminare di apprendimento di lettura e scrittura avvenga sempre e comunque tramite metodi tradizionali, senza pensare di poterli sostituire con una didattica digitale già a partire dai 6 anni – propone la pedagogista – Il passaggio dalla coordinazione oculo-manuale è imprescindibile, così come dal corsivo, che in molti Paesi si sta riscoprendo nella sua importanza. Implica, infatti, l’attivazione di aree celebrali che altrimenti non sarebbero coinvolte nel processo di scrittura, come quella in stampatello o su una tastiera», dice l’esperta.

Non è possibile un mero ritorno al passato

«D’altro canto non credo sia immaginabile, né utile, un mero ritorno al passato, con il solo uso di carta, penna o lavagna di ardesia come 50 anni fa. Oggi ci sono strumenti nuovi e, soprattutto, bisogna tenere presente la velocità con cui è cambiata la società. La parola d’ordine, quindi, è “affiancamento” dei nuovi strumenti a quelli tradizionali. Ma soprattutto, penso che occorra non creare una spaccatura tra il mondo scolastico e quello extrascolastico, perché bambini e ragazzi usano la tecnologia quando sono fuori dalle classi».

Più che imparare a memoria, meglio imparare a cercare le notizie

«Se il diario tradizionale può essere affiancato a quello elettronico, infatti, è bene che i giovani imparino a maneggiare la tecnologia, sia a scuola che a casa. Per esempio, non ha senso che oggi imparino le nozioni a memoria, come avveniva con i nostri nonni, perché il numero di informazioni è aumentato e perché non è pensabile essere delle enciclopedie viventi. È importante, invece, avere un metodo di studio che permetta loro di cercare le notizie, distinguendo tra le numerose fonti e individuando ciò che è attendibile rispetto a ciò che non lo è, sia che usino carta e penna, sia che utilizzino il computer o lo smartphone», osserva l’esperta.

Stimolare, motivare e personalizzare

Un altro elemento che emerge dalla ricerca è l’importanza della motivazione, che viene indicata come fondamentale dal 69% degli insegnanti delle scuole primarie e dal 72% di quelli secondarie, in tutta Europa. Secondo oltre la metà dei docenti (51% alle primarie, 52% alle secondarie) l’accesso a materiali di qualità favorisce l’apprendimento. Il ruolo degli insegnanti, inoltre, è rilevante come supporto, così come la personalizzazione dei percorsi di apprendimento: per il 90% di professori e maestri le esigenze dei singoli studenti e il loro livello di preparazione vanno tenute in considerazione nella scelta degli strumenti di insegnamento. Il lavoro a scuola, però, va rinforzato a casa.

Prevedere qualche limite anche a casa

«Questo tipo di sforzo, però, va messo in campo anche da parte delle famiglie – sottolinea Grassi – Soprattutto, i genitori dovrebbero insegnare ai figli come maneggiare i device e quanto: insomma, occorrono più regole». «In conclusione, io credo che gli strumenti digitali non vadano ignorati o banditi, ma neppure privilegiati o usati in modo esclusivo: occorre un grande lavoro di analisi, per capire come sfruttarne le potenzialità, ma limitandone i possibili danni».