È una storia dalle tinte cupe, uno schiaffo in pieno viso: ciò che è accaduto ad Aurora Leone dei The Jackal è qualcosa di indefinibile, qualcosa che non è possibile raccontare senza avvertire un groppo in gola.
Perché nell’epoca dell’emancipazione e delle lotte per la parità dei sessi, non è ammissibile che un uomo possa ancora dire a una donna cosa può o non può fare in base al suo sesso.
Sì, perché alla nota esponente comica del gruppo più virale del web è stato detto, senza giri di parole, che non può giocare a calcio. Anzi, ancor più grave: non può farlo alla Partita del Cuore, un evento con finalità benefiche. Perché? Perché è una donna.
No, non avete letto male. Non è una delle scenette grottesche ma a lieto fine nata dalla mente dei The Jackal, ma un fatto realmente accaduto. Aurora Leone, insieme al collega Ciro Priello, è stata convocata per scendere in campo durante la Partita del Cuore.
Per la Leone, appassionata di calcio, era un vero onore. Negli scorsi giorni si è preparata, ha condiviso stories in cui, emozionatissima, si allenava per scendere in campo insieme agli altri vip. E ora, ciò che rimane è solo amarezza. Che è successo? È presto detto
Durante la cena che, come ogni anno, viene organizzata alla vigilia della partita, Aurora è stata infatti vittima del più becero sessismo. A raccontarlo sono stati proprio lei e Ciro, per mezzo di alcune stories ancora visibili sul profilo Instagram della talentuosa comica:
«Io e Ciro ci siamo seduti al tavolo con la Nazionale Cantanti. Una volta lì l’organizzatore, Pecchini, è venuto e ci ha detto che io non potevo stare seduta lì. Abbiamo pensato che ce lo stesse dicendo perché appartenevamo alla squadra avversaria. Al ché andiamo per alzarci, ma lui dice a Ciro che può restare, che solo io devo andare».
Dopo insistenti richieste da parte di Ciro e Aurora, Pecchini ha prima risposto con un triste «Non farmi spiegare perché non puoi stare seduta qui, alzati», per poi chiosare con la frase più dolorosa: «Perché sei una donna, non puoi stare seduta qui, sono le nostre regole».
Se le cose, già così, sono a dir poco terribili, ciò che è avvenuto dopo ha aggravato ulteriormente la situazione e ha dimostrato come gli stereotipi di genere siano tutto fuorché superati. Ciro e Aurora, costernati, si sono effettivamente alzati e si sono spostati, insieme, a un altro tavolo.
Salvo, poi, essere chiamati in disparte per dei “chiarimenti” che chiarimenti non erano. Così continua Aurora: «Mi ha detto: vabbè ma tu mica giochi, tu sei qui come accompagnatrice. Ho detto: no, guardate che io ho la convocazione stampata, mi hanno chiesto le taglie dei completini. Mi ha risposto: eh, il completino te lo metti in tribuna: da quando in qua le donne giocano? A quel punto Ciro si è infervorato. Ci hanno cacciati dall’albergo».
In un mondo perfetto, dopo aver messo i fatti sul tavolo, ci sarebbe poco da dire. Un simile atteggiamento verrebbe condannato immediatamente, senza alcun dubbio, perché non c’è nulla che una donna non possa fare.
Non c’è nulla che una donna non possa essere, in nessun caso, in nessuna forma, per nessun motivo. E ciò andrebbe urlato e affermato con toni forti, non annacquato con pallide scuse e tiepide prese di posizione.
Perché sì, purtroppo non viviamo in un mondo perfetto, ed è quanto accaduto ad Aurora a dimostrarcelo.Ogni giorno, infatti, migliaia di donne subiscono delle vere e proprie violenze psicologiche, perché discriminate in base al genere.
Ogni giorno, queste violenze vengono minimizzate perché considerate “normali”, perché troppo radicate nel tessuto culturale di una società ancora atavicamente patriarcale.
La voce rotta di Aurora, segnata dal dolore, dalla delusione e dalla rabbia, è la voce di ogni donna che ogni giorno viene penalizzata e ridotta ai minimi termini. Una voce incredula, che, per altro, mostra anche la mascherina consegnata all’intero team della Partita del Cuore per l’occasione: una mascherina gialla con scritto a chiare lettere “Stop alla violenza sulle donne“.
Un paradosso che ci riporta brutalmente alla condizione che il genere femminile si ritrova a vivere: in un mondo che inneggia alla sua tutela, rimane sempre e comunque un genere con evidente disparità di giudizio e trattamento.