Bamboccioni: vivere ancora con i genitori
Ricordate la notizia di qualche anno fa del “bamboccione” denunciato dal padre, che chiede al tribunale di non dover più mantenerlo? Lui, 36 anni, studiava pianoforte e voleva fare il muscista, ma non ci era ancora riuscito. Di un altro lavoro neanche se ne parlava, perchè con la crisi non si trova. E così il padre, settantenne e separato dalla madre del ragazzo, da anni continuava a versargli l’assegno di mantenimento mensile, che consisteva in una somma di 225 Euro. Ma stufo della situazione si era stancato e aveva deciso di mettere un punto a questa situazione per vie legali.
Il fatto che una vicenda simile sia arrivata nella aule dei tribunali deve farci riflettere, e ci dimostra come minimo che la situazione di un’intera generazione, quella compresa grossomodo tra i 20 e i 40 anni, è molto critica. Il problema è molto sentito anche a livello istituzionale: era stato proprio un ministro dell’economia, Padoa Schioppa, a coniare il termine “bamboccioni” riferendosi a quella generazione di giovani, non più tanto giovani, che non vanno a vivere da soli, e che spesso sono ancora mantenuti dai genitori.
A ratificare la gravità del caso “bamboccioni” ci ha poi pensato l’Istat, secondo il quale più del 70% delle persone in questa fascia di età vive ancora con i genitori. Alcuni ci sono costretti a causa delle ristrettezze economiche, alcuni restano pur avendo disponibilità economiche per comodità e per risparmiare, altri ancora, purtroppo, ci marciano, e approfittano della disponibilità dei genitori senza fare sforzi per trovare una propria strada indipendente. Quindi non solo cause econonomiche, legate alla crisi e alla mancanza di occupazione, ma anche culturali ed educative, in un certo senso, perchè restare a vivere con i genitori sta diventando, in qualche modo, non più un’eccezione di cui vergognarsi un po’, ma una condizione comune e socialmente accettata. I primi a non protestare sono spesso proprio quei genitori che accettano di continuare a mantenere economicamente quei figli che bambini non sono più da parecchi anni.
I Neet
Altrove il fenomeno è stato stigmatizzato col nome di “generazione neet”, con cui si identificano quei giovani che dichiarano, senza complessi, di essere “nullafacenti convinti”. Giovani che restano in casa e vivono sulle spalle dei genitori senza accampare scuse e attenuanti relative alla mancanza di prospettive e di lavoro. Giovani che arrancano nello studio, oppure ci hanno rinunciato da tempo, e che non pensano neanche a trovarsi un lavoro (a volte con la scusa che tanto non si trova). Giovani che non hanno alcuna vera occupazione, niente doveri e responsabilità, e continuano a condurre un’esistenza senza prospettive per il futuro, vagando in un limbo che per il momento li soddisfa, e in cui pensano di rimanere non si sa fino a quando. Notizie del genere raccolgono sdegno un po’ ovunque (come ad esempio fra gli utenti della nostra community). Eppure, secondo i dati forniti dal Ministero della Gioventù, i giovani “inattivi convinti”, sono circa 700 000. Insomma: non proprio quattro gatti.
Bamboccioni – Come siamo giunti a questo?
E’ solo colpa della crisi? O la società intera, e le famiglie in primo luogo, sono diventate troppo indulgenti e tendono a viziare in maniera malsana i giovani? Ci vorrebbe più severità? O forse basterebbe qualche briciola di buon senso in più? Del resto non è la prima volta che il nostro paese si trova in difficoltà economiche. Pensiamo al dopoguerra, agli anni precedenti al boom e alla diffusione del benessere. I nostri nonni vivevano in un paese in cui la povertà era molto più diffusa, e di certo non sguazzavano nell’oro. Forse è stato proprio il benessere degli ultimi decenni a rammollirci e a produrre una generazione di smidollati. Anche se non dobbiamo dimenticare che moltissimi giovani subiscono seriamente un contesto fatto di lavori sottopagati, sfruttamento, zero garanzie e precarietà: tutti fattori che certamente non rendono facile l’andar via di casa, il permettersi un alloggio per conto proprio e tantomeno la volontà di formare una famiglia per conto proprio.
Insomma la questione “bamboccioni” non può essere sottovalutata, tanto che ormai è diventato un tormentone. Ma al di là di queste quisquilie, la polemica avrebbe un senso se ci fossero le condizioni per cambiare davvero le cose. Se i prezzi degli alloggi non fossero esorbitanti, e se il mercato del lavoro fosse più fiorente, dinamico e con maggiori garanzie al lavoratore e apertura ai giovani. Oggettivamente è un po’ complicato a 18 anni conciliare studio (per chi vuole andare all’università) e lavoro, o anche solo procurarsi un lavoro abbastanza stabile e redditizio da permettere di mantenersi da soli.
Insomma la questione bamboccioni sembra diventare sempre più preoccupante e complessa.
E voi cosa ne pensate? Vi sentite anche voi un po’ bamboccioni? Oppure è solo una definizione ingiusta?