Origini delle maschere di Carnevale
Le maschere di Carnevale italiane sono nate con la Commedia dell’Arte, fenomeno teatrale che si sviluppa nel nostro Paese a partire dal 1500. Una delle rappresentazioni più in voga era la “beffa del servo”, una sorta di rivincita concessa al servo umile che si riscatta nei confronti del suo padrone, allegoria del potente di turno.
Nasce così il personaggio di Arlecchino, diventato famoso grazie a Carlo Goldoni ne "Il servitore di due padroni". Il vestito di Arlecchino e’ costituito da un abito a toppe colorate e un berretto di feltro bianco. Sul volto porta una mezza maschera nera dai lineamenti demoniaci (la leggenda narra che il nome “Arlecchino” derivi dal demone Alichino citato da Dante nella Divina Commedia) con naso prominente e ispidi baffi. Alla cintura pende una spatola di legno detta “batocio”.
La variante al femminile è la servetta Colombina, maliziosa e vezzosa, civettuola con l’eterno spasimante Arlecchino. E’ conosciuta anche con il nome di Arlecchina, diventera’ poi l’elegante Marionette ne “La vedova scaltra” di Goldoni. Il vestito è semplice, a toppe colorate, in testa porta una cuffia bianca dello stesso colore del suo grembiule.
Pantalone e’ la maschera più conosciuta di Venezia. Impersona il vecchio mercante veneziano – scaltro negli affari – e rappresenta l’anima commerciale della gloriosa città. La maschera e’ formata da una giubba rossa, brache corte con una cintura da cui pende una spada o una borsa piena di monete. Come copricapo ha un berretto di lana alla greca, ciabatte nere o babbucce turche con la punta all’insù. Sulle spalle, indossa un mantello nero foderato di rosso, sul volto e’ prevista la classica maschera nera col naso adunco, sopracciglia accentuate e una curiosa barbetta appuntita.
Altro servo e’ Pierrot, intelligente e sentimentale, volto pallido ed espressione triste, l’eterno innamorato non corrisposto con la lacrima che gli scende sulla guancia. Veste in sete bianca con larghi pantaloni e una lunga casacca guarnita di grossi bottoni neri, ampio colletto, papalina nera sul capo con pon-pon, lo stesso che porta anche sulle scarpette.
Da Venezia ci spostiamo verso sud, a Roma troviamo Rugantino, il fanfarone di quartiere che parla romanesco, è arrogante, da qui il suo nome che viene da “ruganza”, appunto arroganza. Veste da popolano con brache consunte al ginocchio, fascia intorno alla vita, camicia con casacca e fazzoletto al collo.
Scendiamo ancora e arriviamo a Napoli, dove incontriamo il servo Pulcinella. Il suo nome sembra derivi da “pulliciniello” ossia “pulcino” in dialetto napoletano. E’ il servo vivace, che canta e balla tutto il giorno, con una marcata gestualità tipica del sud. Indossa un camice bianco stretto in vita da una cintura, in testa un cappello allungato bianco e sul volto una maschera nera piena di rughe e il naso adunco.
Per una maschera che segua la tradizione ma con stile, per lei ecco la Moreta che copre l’ovale del viso, e’ in velluto nero, spesso abbellita in pizzo e perle. Veniva usata dalle dame prima in Francia, poi a Venezia per la sua particolare eleganza. La curiosità: nasce per coprire il volto delle nobildonne in visita nei conventi e inizialmente si indossava tenendola in bocca con un perno cosicché era impossibile parlare.