La strada verso l’annullamento della disparità di genere (gender gap) si fa ancora più lunga: in ambito lavorativo inizieremo a parlare di parità tra uomo e donna addirittura alle soglie del 2300 (nel 2288 per la precisione). Una data che appare fantascientifica, è vero. Ma in realtà si tratta di una stima che, per quanto pessimistica, si basa su studi e proiezioni concrete. È quanto emerso dalla quindicesima edizione del World Economic Forum sulle diseguaglianze di genere.
Ma andiamo per gradi. Dalla disparità più generale del termine alle differenze economiche e politiche, vi spieghiamo lo studio nel dettaglio.
Disparità tra uomo e donna
Secondo i dati, ci saranno molte e molte ancora generazioni di donne che dovranno aspettare per veder cancellato il gender gap e avere diritti pari a quelli degli uomini. Ebbene sì. Secondo le stime, il gender gap complessivo tra uomini e donne si annullerà tra ben 135 anni. Un tempo lunghissimo che, come anticipato nell’introduzione, se parliamo di ambito professionale e di stipendi, si dilata ulteriormente. Una notizia che rasenta l’assurdo, se si pensa che non di rado le donne sono fonte di ispirazione per gli uomini sul posto di lavoro. Ma di cui è stata complice l’emergenza Covid 19.
A quanto pare la pandemia, ha provocato effetti disastrosi a catena, in termini sociali ed economici a livello globale. Secondo le stime precedenti la pandemia (edizione Wef 2020), infatti, il processo di azzeramento del gender gap stava procedendo, seppur a rilento. Ora pare sia stato improvvisamente arrestato. Prima dell’emergenza mondiale, infatti, si stimava che il gender gap sarebbe stato cancellato nel giro di quasi un secolo, 99.5 anni e mezzo, per la precisione. Ai dati attuali dovranno trascorrere 135.6 anni affinché la forbice delle disparità tra uomini e donne non esista più.
Il gender gap economico
E non è neanche tutto. Perché, come anticipato, se l’uguaglianza di genere a livello globale si potrà raggiungere soltanto tra 135 anni, il risanamento del gap economico ne richiederà almeno 267,6. Procedendo di questo passo, le prime a godere della parità economica saranno le donne del 2.288.
A quanto pare, nonostante le donne continuino a formarsi e a sviluppare migliori competenze, le disparità di reddito perdurano, così come le posizioni manageriali vengono ancora in gran pare ricoperte da uomini.
Il gender gap politico
Ma il rapporto del Wef ha analizzato anche il gender gap politico. La forbice, anche in questo caso, si è allargata per via della pandemia. Più del 50% dei 156 Paesi indicizzati ha fatto registrare dei miglioramenti.
Tuttavia, le donne occupano ancora soltanto il 26.1% delle cariche parlamentari e il 22.6% delle posizioni ministeriali al mondo. Secondo le stime, dunque, il gender gap politico impiegherà circa 150 anni per essere azzerato. Prima dello scoppio della pandemia, avremmo dovuto attendere 95 anni secondo quanto stimato dell’edizione del Wef 2020.
Il gender gap nell’istruzione e nella sanità
Oltre al gender gap economico e a quello politico, il World Economic Forum ha analizzato altri due settori: quello dell’istruzione e della salute. In questi casi il divario di genere non fa registrare dati allarmanti.
Sul fronte scolastico ci vorranno 14 anni per azzerare le differenze tra i due sessi, mentre nella sanità è per il 95% già chiuso.
Lo spaccato geografico
I paesi del Nord sono quelli in cui il gender gap è minore in ogni settore. L’Islanda si riconferma al primo posto per il minore divario di genere, seguita da Finlandia, Norvegia, Nuova Zelanda e Svezia.
L’Italia, invece, resta in 63esima posizione su 156 Paesi (nell’edizione del Wef 2020 occupava il 76esimo posto), dietro a Perù e Bolivia e di appena qualche gradino più su rispetto al Bangladesh.
A pesare sulla posizione nelle retrovie sono senz’altro le disuguaglianze in materia di occupazione e retribuzioni (114esimo posto). Fanalino di coda l’Afghanistan (ultimo), preceduto da Yemen e Iraq.
A livello europeo, nella graduatoria complessiva, la Germania è 11esima, la Spagna 14esima e la Francia 16esima, mentre gli l’Olanda è 31esima, di un posto dietro agli Usa.
Occupazione femminile post Covid
I dati sull’occupazione in Italia parlano chiaro: la pandemia del Covid 19 ha fatto perdere il lavoro a 312 mila donne italiane. Un numero che trova spiegazione su due versanti.
Da una parte, le donne trovavano impiego in settori più colpiti dalla pandemia, come il turismo, la ristorazione e i servizi. Dall’altra, la didattica a distanza, i figli da seguire e il maggior carico di impegni familiari, ha fatto sì che molti posti di lavoro venissero persi per far fronte alle nuove esigenze dettate dalla pandemia.
Le donne sono state le vere vittime dell’emergenza sociale ed economica scatenata dall’emergenza del Coronavirus. Hanno pagato, insieme ai giovani, un prezzo altissimo sul versante della disoccupazione, nonostante il blocco dei licenziamenti abbia fatto da parziale freno.
Incertezze per il futuro
Se si pensa ai lavori del futuro, poi, ci si accorge subito quanto la rappresentanza femminile preparata per ricoprire determinati ruoli sia nettamente sottostimata rispetto a quella maschile.
Per esempio, le nuove generazioni di lavoratrici che potranno essere impiegate nell’intelligenza artificiale arriva a malapena al 20 percento. Solo il 14% se si parla del cloud computing. La pandemia ha complicato le cose, sia dal punto di vista dei ruoli dirigenziali, sia delle opportunità.
Lo rivela anche Linkedin, attraverso un attento monitoraggio dell’andamento del recruitment. Le assunzioni al femminile sono più lente rispetto a quelle degli uomini ed è più difficile che che vadano a ricoprire ruoli di vertice.