Magnetica, inarrivabile, sfuggente: Divina, come in effetti era stata soprannominata. Ricordare Greta Garbo, nell’anniversario della sua morte, non è difficile. L’attrice più misteriosa di Hollywood, infatti, non è mai diventata un’eco lontana, nonostante siano passati 31 anni dalla sua scomparsa e 115 anni dalla sua nascita.
Greta Garbo si spegneva il 15 aprile 1990, ma la sua aura mistica e la sua eleganza fanno ancora scuola. E possiamo dire che sia riuscita in una delle imprese più difficili per una stella del cinema: diventare immortale.
La vita
Il suo charme e il suo fascino altero e superbo potrebbero far pensare che la Garbo abbia sempre vissuto circondata da agi e ricchezze. Non è così. Nata in Svezia e registrata all’anagrafe come Greta Lovisa Gustafsson, la stella del cinema americano ha vissuto in povertà fino all’adolescenza.
Come lei stessa ammise, era spesso malinconica e preferiva stare sempre in disparte. Ciò, sin da subito, conferì alla sua bellezza un’aria triste e caratteristica, che sembrava non abbandonarla mai.
La malinconia aumentò quando Greta perse il padre: a quel punto iniziò a conoscere i primi segni della depressione. Ciononostante, reagì: insieme ai suoi due fratelli maggiori si rimboccò le maniche iniziando a svolgere diversi lavori.
Conobbe così le prime avances degli uomini: lavorò prima nella bottega di un barbiere e poi come commessa in un pub. Non traeva alcun piacere dalle attenzioni indesiderate e le schivava. Quando poteva, in casa, “giocava a fare teatro”: solo in quel modo sfuggiva da una realtà misera.
Gli esordi
Nonostante le attenzioni su di lei non fossero la cosa che gradiva di più, la sua evidente avvenenza le diede modo di aiutare la sua famiglia. Decise dapprima di fare la modella e poi accettò di rivoluzionare la sua carriera “statica”, passando a quella dinamica di attrice in cortometraggi pubblicitari.
Proprio i cortometraggi fecero sì che il regista svedese Erik Arthur Petschle la notasse. Fu proprio Petschle a convincerla a esordire sul grande schermo nella commedia Luffar-Petter del 1922.
La soddisfazione che la Garbo provò fu enorme, al punto da spingerla a studiare duramente, pur lavorando e facendo grandi sacrifici, per superare la selezione che la portò alla vittoria di una borsa di studio per l’Accademia Regia di Stoccolma.
Questo importante traguardo fu decisivo: venne notata dal regista finnico Mauritz Stiller, che ai tempi era già famoso. Grazie a Stiller, l’attrice cambiò nome in Greta Garbo (più corto, d’impatto e in grado di essere recepito dal pubblico) e con lui volò verso gli Stati Uniti.
Lo stile
Il nome non fu la sola cosa che Greta cambiò, in vista dell’arrivo negli Stati Uniti. Anche il suo look si è modificato, consacrandola a icona della moda. La Garbo si distaccò dallo stile “ingessato” e forzatamente provocante delle altre stelle di Hollywood.
Sia nel tempo libero che (col tempo) nelle occasioni speciali, optò per outfit androgini: giacche e pantaloni sartoriali di taglio maschile, camice e cravatte, cinture, scarpe dal tacco moderato.
Lo stile Greta Garbo è nato, probabilmente, dal desiderio di una ragazzina (aveva, in fondo, solo 18 anni) di essere sia chic che comoda, eppure, segnò un punto di rottura.
Quando la Garbo iniziò a comprendere l’impatto delle sue scelte in fatto di moda, le rese ancora più evidenti, mettendo in atto un vero e proprio processo di rottura di vocazione femminista.
La carriera (e le sue stranezze)
Mentre il pubblico la amava e la acclamava, Greta Garbo continuava la sua ascesa non senza un pizzico di insoddisfazione. Nel corso dei suoi anni sul grande schermo, infatti, si mostrò spesso insofferente per via di alcune cose che le stavano strette.
Felice del suo successo, era al contempo infastidita dal clamore della celebrità e da chi voleva a tutti i costi farsi i fatti suoi. Il suo atteggiamento “tirato” risultò a tratti antipatico, ma, di base, contribuì ad alimentare ancor di più la sua fama di inarrivabile.
I ruoli sempre uguali
A rendere insoddisfatta Greta Garbo non erano solo i paparazzi e i rotocalchi che volevano saperne di più della sua vita. A renderla insoddisfatta era anche il fatto che, nella maggior parte dei casi, le veniva sempre assegnato lo stesso ruolo.
Personaggi provocanti, vamp senza scrupoli, aristocratiche, cortigiane, prostitute, spie, mogli infedeli: donne seducenti ed erotiche che lei non riusciva a sentire come sue, avendo di base un carattere timido e introverso.
Solo nel 1939, Ernst Lubitsch le diede la possibilità di recitare nella commedia Ninotchka, dove, per la prima volta, rideva. Questo “avvenimento” fu usato per lanciare il film con lo slogan La Garbo ride.
L’accento svedese e le prime parole
L’accento svedese di Greta “spaventava” i suoi produttori che, a lungo, la “relegarono” al cinema muto per paura che le sue inflessioni le facessero perdere pubblico come era già successo a molte attrici che erano passate al sonoro.
Nel 1930, però, riuscirono a trovarle un ruolo parlante: una ragazza di origini svedesi in Anna Christie. La sua prima battuta fu Dammi un whisky, ginger ale a parte, e non essere tirchio, amico!
Le persone sul set e le scene d’amore
Sempre per via del suo carattere introverso e della sua spiccata timidezza, Greta Garbo cominciò a pretendere che sul set ci fossero sempre poche persone: persino le maestranze venivano allontanate, per il suo timore di essere disturbata.
Inoltre, pare che girare le scene d’amore le facesse provare imbarazzo e vergogna: per questa ragione costringeva registi e altri attori a uscire e a “prendere un frappé o un caffé” mentre le girava.
I soprannomi
Greta Garbo ebbe due soprannomi che ne sottolineavano sia il fascino che l’alterigia, oltre che la già citata inarrivabilità. Venne chiamata Divina per anni, per via della sua bellezza e del suo sguardo espressivo.
Allo stesso tempo, veniva appellata Sfinge Svedese per via della sua personalità enigmatica e dei suoi comportamenti spesso indecifrabili.
Il ritiro dalle scene
Si dice che Greta Garbo decise di ritirarsi dalle scene (a soli 36 anni) per via del flop del film Non tradirmi con me. Furono moltissimi i produttori e i registi che la contattarono per farla tornare sul set, ma la risposta fu sempre un elegante diniego.
Teorie più “dietrologiche” vogliono invece che la Garbo avesse già scelto di ritirarsi prima dei 40 anni, nel fior fiore degli anni, per rimanere impressa nel pubblico esattamente com’era.
Ricordare Greta Garbo nell’anniversario della morte è anche un modo per esaltarne la scelta di condurre una vita assolutamente privata fino al giorno in cui si spense: riuscì nell’impresa di non rilasciare interviste, anche se i paparazzi riuscirono a immortalarla, dimostrano che la sua bellezza era sempre immutata.
Gli amori, l’orientamento sessuale
Greta Garbo odiava la stampa rosa. La rifuggiva e se ne teneva lontana. Tuttavia, alcune delle sue love story sono venute alla luce: ebbe una relazione (anche se non ufficializzata) con l’attore americano
Molto chiacchierata a Hollywood fu la storia d’amore, o quanto meno di intensa amicizia, che la Garbo ebbe con l’attore americano John Gilbert.
Negli anni Trenta, poi, si legò al compositore Leopold Stokowsky: la loro fu una passione travolgente che li portò a volare a Ravello insieme e (malgrado la riservatezza della Garbo) a farsi paparazzare.
Ancora, l’editore Lars Saxon riuscì a legarla a sé per un breve periodo. La Garbo fece scandalo perché bisessuale: visse una relazione intensa con la poetessa statunitense Mercedes de Acosta. Una relazione che finì quando la poetessa mostrò alla stampa le loro lettere piene di passione: la Garbo, riservatissima, non la perdonò mai.
Ebbe, infine, anche una relazione con l’attrice Mimi Pollok: anche questa finì per via del carattere forte e indipendente della Garbo.
Il femminismo e i misteri
C’è un’altra, fondamentale, ragione per ricordare Greta Garbo nell’anniversario della sua morte: il contributo al femminismo e all’autodeterminazione della donna.
Nonostante le varie (e molteplici) pressioni, non si volle mai sposare: bastava a sé stessa. Fu proprio il fatto di non volere un matrimonio che la allontanò da John Gilbert e da Lars Saxon.
A Saxon, addirittura, la Garbo disse in una lettera, a fronte delle sue suppliche di portarla all’altare: Rimarrò probabilmente sola per tutta la vita. Moglie è una brutta parola».
Anche lo stile, come abbiamo già detto, venne utilizzato dalla Garbo per comunicare a un mondo ancora troppo ancorato alla donna oggetto, che lei era molto di più. Ciò ispirò intere generazioni.
Infine, chiudiamo con uno dei più grandi misteri su di lei: pare, infatti che abbia lavorato come spia durante la Seconda Guerra Mondiale, raccogliendo informazioni sui simpatizzanti nazisti in Svezia per il servizio segreto britannico.