In Lombardia le PMI costituiscono il tessuto d’impresa di maggior valore sotto diversi punti di vista: sono reattive alle esigenze del mercato ma al contempo preservano le tradizioni dell’eccellenza artigiana. Oggi un ruolo sempre più decisivo è giocato dalla tecnologia la cui diffusione va incoraggiata: Artigiani 4.0 ha questo scopo. «Per facilitare le Pmi a seguire un percorso di innovazione a tutto tondo, Regione Lombardia ha pensato al primo Programma di Accelerazione per le Imprese della Moda e del Design» spiega Barbara Mazzali, Assessore al Turismo, Marketing territoriale e Moda. Per guidare le piccole e medie imprese lombarde verso un posizionamento premium è stata scelta la società specializzata in consulenza e formazione per aziende Upskill 4.0.

Barbara Mazzali, Assessore al Turismo, Moda, Design, Marketing Territorile e Grandi Eventi di Regione Lombardia.

È suo il concept di Artigiani 4.0 che Selena Brocca, direttrice generale, illustra così: «Si tratta di un percorso di accelerazione nato per valorizzare le Pmi lombarde attraverso nuove competenze tecnologiche e strategie di business avanzate». Artigiani 4.0 si inserisce nell’iniziativa Lombardia Style con cui la Regione celebra e promuove il suo patrimonio artistico e produttivo (inquadra il qr code in basso per scoprire il progetto). Sono 11 le imprese selezionate (in queste pagine ve ne raccontiamo 5): «Alcune hanno una storia secolare, come Fumagalli 1891 e Cinelli mentre altre, come il calzolaio Maiorino, noto per la sua presenza sui social, sono emergenti. Alcune si occupano di prodotti affascinanti come le auto d’epoca, nel caso di Laboratorio Lopane, o più di uso quotidiano come CBS, che realizza serramenti e c’è chi ha reinterpretato la tradizione liutaia lombarda con materiali innovativi come Noah Guitars e le sue chitarre in alluminio» dice Brocca di Upskill 4.0. Il percorso di Artigiani 4.0 si articola in due momenti: una prima fase di alta formazione collettiva, confronto e collaborazione, seguita dallo sviluppo di una strategia personalizzata per ognuna delle 11 imprese, scelte per la qualità dei prodotti ma anche per il radicamento locale. La relazione tra le Pmi e il territorio gioca infatti un ruolo centrale nel progresso economico di una comunità.

Selena Brocca, direttrice generale di Upskill 4.0

L’Assessore Mazzali ne è certa: «È un rapporto complesso che va incoraggiato con iniziative atte a rafforzarne i legami e amplificarne i benefici. Per questo Regione Lombardia agisce sia in favore degli acceleratori, finanziandone gli investimenti, sia in favore delle piccole imprese, che ricevono un contributo per la partecipazione a progetti che ne accrescono la competitività, generando effetti positivi sul territorio». Artigiani 4.0 è stato accolto con entusiasmo, tanto che Regione Lombardia sta pensando alla creazione di una rete di imprese di eccellenza con cui moltiplicare esperienze e opportunità. «Potranno essere promosse nuove classi di questi percorsi di accelerazione – anticipa l’Assessore Mazzali – e incentivate le occasioni per la presentazione di progetti volti ad affrontare le sfide nell’ambito del riciclo del rifiuto tessile, della certificazione della filiera, dello sviluppo di materiali innovativi…». Selena Brocca conferma l’intenzione: «La nostra ambizione è che Artigiani 4.0 diventi un appuntamento annuale e che i nostri artigiani diventino i migliori nel loro campo e portino alto il Made in Italy e il Lombardia Style nel mondo».

Per scoprire le eccellenze artigianali della regione Lombardia abbiamo intervistato 5 realtà di valore che ci hanno aperto le porte dei loro laboratori e ci hanno raccontato le loro storie di famiglia
Fabscarte è un laboratorio specializzato in carte da parati e opere dipinte a mano su carta, creazioni “pensate a mano”, frutto di un processo creativo che nasce dal sentire, passa dal pensare e scorre tra le dita sapienti dei due artigiani fondatori e dei decoratori che li affiancano. A raccontarcelo è Luigi Scarabelli, uno dei soci fondatori del marchio.

Come ha avuto inizio la vostra storia?

«Abbiamo iniziato a lavorare insieme a Milano nel 1985, collaborando con architetti di alto profilo nel campo della decorazione classica. Una decina di anni fa abbiamo sentito il desiderio di creare carte da parati che rispecchiassero i nostri gusti. Così, insieme a un team di giovani artigiani, ci siamo dedicati per un anno alla sperimentazione, sviluppando campionature libere per definire lo stile».

In cosa differiscono le vostre creazioni dalle altre?

«Abbiamo appreso antiche tecniche pittoriche come il finto marmo, gli ornati e il trompe-l’oeil, ma ogni decoratore le arricchisce con influenze provenienti da più mondi, dal suo vissuto, dalle sue passioni. Uno degli aspetti distintivi è la creazione di una texture, di un fondo materico per gli strati di pittura. Per ottenerla applichiamo manualmente vari tipi di carta velina: il risultato finale è un gioco di effetti visivi e tattili armonioso ed emozionante».

Uno dei vostri obiettivi è quello di diffondere bellezza: oggi viene ancora riconosciuta?

«La bellezza non smetterà mai di essere riconosciuta, ma è legata all’evoluzione della società, come tutto il resto. Tra 50 anni ci saranno persone che la riconosceranno in opere realizzate interamente a mano come le nostre e altre che preferiranno il frutto di una stampante 3D di ultima generazione».

In che modo Milano è stata un luogo ideale per lo sviluppo della vostra impresa?

«Milano è riconosciuta a livello internazionale come capitale del design e della moda, è il contesto perfetto per noi. Questa città vibrante attira persone e professionisti da tutto il mondo, creando un ambiente stimolante che valorizza l’arte, il design e l’eccellenza».

Chi è oggi un artigiano?

«Un artigiano è una persona che può vedere le proprie energie trasformarsi quotidianamente in un’opera concreta. La maggiore difficoltà sta nel dover affrontare tempi di esecuzione che esulano da una logica che l’alta qualità richiede».

Quanto tempo serve per realizzare una vostra carta da parati?

«Un decoratore ne realizza due metri quadrati al giorno. È una produzione fuori mercato, ma il tempo, per noi, rimarrà sempre il cuore del nostro lavoro».

Il Laboratorio Paravicini nasce in un cortile nascosto nel centro storico di Milano. Qui, dai primi anni ’90, Costanza Paravicini realizza servizi di piatti, da tè e da caffè, vasi e candelieri su cui prendono vita monogrammi eleganti, fronde vegetali e straordinari disegni esotici e onirici. Decorazioni che oggi nascono anche dalle mani delle tre figlie, seconda generazione di designer e decoratrici d’eccellenza. A raccontarcelo le sorelle Margherita e Benedetta Medici con la madre Costanza Paravicini, titolari del laboratorio.

Da dove nasce questa passione e dove vi sta portando?

«Laboratorio Paravicini nasce dal desiderio di mia madre di dare vita a qualcosa che fosse in grado di ricreare, sulla tavola di tutti i giorni, la magia e il calore di un tempo. Non riuscendo a trovare un servizio di piatti con quest’anima, decide di farselo da sola. Mette su carta bozzetti ad acquerello, dipinge, prova la tecnica, sperimenta fino a creare quello che il Laboratorio fa ancora oggi. Continuiamo a produrre la terraglia bianca sottile decorata a mano a pennello, rispondendo alle richieste più svariate: dagli interi set in cui non vi è mai uno stesso disegno a quelli da appendere per tappezzare sale da pranzo, quasi fossero antichi servizi di famiglia».

È un luogo tranquillo nel cuore di una metropoli: ha l’universo tutto intorno
laboratorio paravicini Made in Lombardia

Cosa rende speciali i vostri manufatti?

«Da oltre trent’anni troviamo nelle ridotte dimensioni la chiave del nostro successo. Essere “piccoli” ci ha permesso di non cadere nella serializzazione ma di svolgere un lavoro dedicato, seguendo le esigenze di ogni cliente. Le possibilità di personalizzazione sono infinite. Creiamo a mano pezzi unici e irripetibili».

Come si inseriscono tecnologia e innovazione nel vostro lavoro 100% artigianale?

«La capacità di interpretare il mondo che ci circonda e lo spirito del tempo ci permette di rendere ogni collezione contemporanea e innovativa. Per esempio, dal 2013 alla storica produzione a pennello si affianca la linea “Collezioni”, raffinati disegni a stampa serigrafata o digitale in serie limitate e numerati pezzo per pezzo. Gli unici strumenti tecnologici che usiamo sono legati alla comunicazione: l’apertura del canale Instagram nel 2014 ha ampliato molto la clientela e portato a collaborazioni interessanti. Oggi il Laboratorio è alla sua seconda generazione, siamo tre sorelle, figlie di mestiere: il passaggio di testimone è un momento cruciale in cui il sapere artigianale di nostra madre viene tramandato con pazienza e dedizione, assicurando che la tradizione continui a vivere».

Perché avete scelto proprio Milano?

«Siamo nate qui. Era il luogo in cui mio nonno portava avanti la sua passione di ebanista. Oggi il laboratorio è sempre lo stesso, si è solo ampliato e alle pareti non ci sono più le sue sgorbie da intaglio ma piatti di ogni tipo. È un luogo tranquillo nel cuore di una metropoli: ha l’universo tutto intorno».

Fondata nel 1974 dai Fratelli Fioravante e Carlo Berto come bottega artigiana inizialmente specializzata nella produzione conto terzi, oggi – a distanza di 50 anni – BertO è un’azienda che progetta e produce arredi di design per la zona giorno e la zona notte, promuove con forza il Made in Meda ed è stata scelta da Google come modello in tema di digitalizzazione delle Pmi. Il suo Ceo, Filippo Berto, è un imprenditore visionario che, sfruttando il web, ha rivoluzionato il modello di business della sua azienda.

Meda ha un ruolo centrale nella vita della sua azienda. Come mai è così importante?

«Il territorio ci ha influenzato tantissimo: Meda è la capitale del design italiano apprezzato in tutto il mondo. Mi sono così appassionato al talento di questa città, da fare una ricerca e scoprire che la sua energia ha origini antiche, risale a 1.000 anni fa, quando un monastero iniziò a dare lavoro alla gente del posto. Negli anni ’50 Meda era la casa di molti imprenditori illuminati, che si sono incontrati con i più brillanti architetti: così è nato il design made in Italy. Diffondere, valorizzare e proiettare tutto questo sapere nel futuro è diventata la mia missione. Per questo portiamo avanti un progetto con le scuole e i giovani, per attrarre nuove generazioni. E, sempre per questo, ho scritto il libro Made in Meda: il futuro del design ha già mille anni, che è una rivendicazione dell’unicità e della ricchezza del nostro territorio, fattori spesso dimenticati». così appassionato al talento di questa città, da fare una ricerca e scoprire che la sua energia ha origini antiche, risale a 1.000 anni fa, quando un monastero iniziò a dare lavoro alla gente del posto. Negli anni ’50 Meda era la casa di molti imprenditori illuminati, che si sono incontrati con i più brillanti architetti: così è nato il design made in Italy. Diffondere, valorizzare e proiettare tutto questo sapere nel futuro è diventata la mia missione. Per questo portiamo avanti un progetto con le scuole e i giovani, per attrarre nuove generazioni. E, sempre per questo, ho scritto il libro Made in Meda: il futuro del design ha già mille anni, che è una rivendicazione dell’unicità e della ricchezza del nostro territorio, fattori spesso dimenticati».

La BertO è proiettata sul tecnologico. Com’è successo?

«Volevo far arrivare al mondo i valori che vedevo in azienda. Non avevo mezzi, ma ero appassionato di Internet e ho capito che la Rete poteva fare da ponte. Nel 2002 ho creato il blog #BertoStory, il primo corporate blog di design e arredamento in Italia. Poi sono nati il canale video, i social, i live streaming sugli eventi di design e da allora università e istituzioni si sono interessate a noi: potevamo essere un esempio per stimolare tante belle storie italiane d’impresa. Perché quello che è successo a noi è che siamo cresciuti molto – eravamo in 5, ora siamo in 70 –, abbiamo costruito un marchio, un metodo nostro per distribuire, abbiamo innovato e siamo diventati un caso di studio anche per Google».

Quali sono gli ingredienti di un successo che festeggia i 50 anni?

«Usare la Rete ci ha insegnato a parlare con i clienti finali, a immaginare un nuovo modo per costruire una relazione tra le persone e il design. Attorno a questo abbiamo concepito la rete dei negozi, che oggi sono sei (cinque in Italia e uno in Svizzera) a gestione diretta e pensati come delle case: entri e ti senti a tuo agio. Poi abbiamo aperto le porte del nostro laboratorio: quando fai lavorare altra gente insieme a te su un progetto, attui una rivoluzione, crei esperienze forti, live. Infine abbiamo costruito una bella squadra di giovani appassionati».

Progetti per il futuro?

«Stiamo costruendo una nuova sede che vuole essere la casa del design: è in mezzo al verde, c’è tanta luce e tanto spazio».

Merli Marmi si trova a Voghera, nell’Oltrepò Pavese, dove è stata fondata nel 1899. Compie 125 anni di storia, competenza e passione ed è leader nella lavorazione della pietra naturale. Oltre alla produzione di progetti di interior design in marmo, l’azienda realizza opere di arte funeraria artigianali su misura. Il suo presidente Paolo Merli (che è anche componente del direttivo Assolombarda Pavia e del gruppo design/arredo Assolombarda) si definisce “romantico marmista” e i suoi impiegati sono il cuore pulsante dell’azienda, valore insostituibile capace di dialogare con l’automazione, integrata non per sostituirli ma per collaborare con loro.

Quali sono i punti forti di Merli Marmi?

«L’attività nasce con la scultura, prodotto artistico tipico dell’arte funeraria di fine ’800. Questo settore ci ha insegnato molto: l’ascolto, l’accoglienza, la relazione, l’arte, il bello e il fatto bene. Va da sé che le persone sono fondamentali: da sempre ci prendiamo cura dei nostri clienti, dei nostri collaboratori e di conseguenza dei nostri manufatti. Senza le persone non saremmo potuti arrivare fin qui. Fino agli anni 2000 i processi e le lavorazioni sono rimasti gli stessi, poi abbiamo dato il via a quattro rivoluzioni tecnologiche, ma sempre ricordando che la tecnologia è al servizio delle persone, non il contrario».

Made in Lombardia Merli

Le persone sono fondamentali: senza le persone non saremmo potuti arrivare fin qui

Come territorio e azienda si sono influenzati reciprocamente?

«Voghera si trova in una posizione strategica, perché si possono raggiungere importanti città come Piacenza, Milano e Genova in un raggio di 100 km. Qui, ogni giorno, si può ammirare la bellezza dell’ambiente, i vigneti, i campi coltivati. Vivere circondati dalla natura è importante, ci fa stare bene. Poi, Merli Marmi è una piccola realtà locale e come tale è un pezzo della storia di Voghera: il monumento ai caduti della prima Guerra Mondiale è stato realizzato nei nostri laboratori, per esempio. Le persone che abitano il nostro territorio hanno sempre riposto in noi grande fiducia e noi li abbiamo ricompensati con opere uniche e tanto amore».

Le radici sono forti, 125 anni di storia non sono pochi: cosa vi rende competitivi oggi?

«L’amore! È proprio durante i momenti di incontro organizzati per festeggiare il traguardo dei 125 anni che l’ho capito: solo l’amore ti fa andare avanti, ti fa andare oltre. Quello verso i clienti, i collaboratori, i fornitori, se stessi. L’ amore nel far bene le cose. L’amore ti riempie sempre anche nel sacrificio. Se avessi guardato ai soli numeri, oggi non saremmo a questo punto e, soprattutto, non saremmo così soddisfatti».

Progetti? Sogni?

«Di obiettivi ne stiamo raggiungendo tanti: siamo stati inseriti nel Registro delle Imprese Storiche d’Italia e l’executive master in business administration che ho frequentato ci ha permesso un importante salto di qualità gestionale. Tra i progetti in cantiere c’è il nostro museo: abbiamo centinaia di opere, progetti, attestati, foto che non vedo l’ora di organizzare e rendere visibili a tutti. Stiamo lavorando per riposizionarci sul mercato, aprendoci maggiormente al settore design/arredo e puntiamo all’internazionalizzazione. Tra i tanti sogni, due: avere una Merli Marmi a maggioranza donna (manca veramente poco!) e far appassionare sempre più giovani a questo lavoro incredibile: ma quando ti ricapita di poter modellare e custodire una materia che ha milioni di anni?».

Nel 1889 Giovanni Bonacina fa tesoro del mestiere di canestraio e fonda la sua azienda, ampliando poi la produzione con poltrone, salotti ed elementi d’arredo. Oggi come allora in Bonacina gli artigiani curvano a mano canne di giunco e intrecciano fili di midollino, collaborando con grandi architetti e designer (Franco Albini, Marco Zanuso, Gio Ponti sono solo alcuni) e arredando alberghi di lusso e residenze sofisticate (compresa la Casa Bianca). Dal 2012 è Elia Bonacina, quarta generazione, a guidare un’azienda storica ma piena di giovani che, forte delle sue radici e del saper fare italiano, si proietta decisa verso il futuro.

Qual è il punto di forza di un successo che dura da 135 anni?

«Un cambio generazionale ben gestito: nel 2012, a 21 anni, sono subentrato a mio nonno e a mio padre, avviando la re-start up. Da allora il fatturato è cresciuto del 1.000% e l’azienda è lanciata grazie all’impegno di un centinaio di dipendenti, con un’età media sotto i 30 anni. Mi sono sentito dire che l’Italia non è un Paese per imprenditori, che i giovani non hanno voglia di fare. Volevo sfatare questo mito, dimostrando che si può fare impresa, che “piccolo è bello”, che per crescere non bisogna essere acquistati da un fondo».

Che opinioni ha del suo territorio?

«L’industria nasce nelle province e la Brianza, che è l’area più densamente industrializzata del nostro Paese e tra le più industrializzate del mondo, offre una miriade di fornitori, know how, grandi lavoratori. È la Silicon Valley del design, della chimica, della metalmeccanica. C’è un gioco di squadra importante, tra noi e il territorio. Bonacina è sempre stata a Lurago d’Erba, dando lavoro a tante famiglie. Per fortuna abbiamo trovato un grande stabilimento da ristrutturare per spostare la nostra sede senza allontanarci».

Come avete fatto ad anticipare i tempi con due materiali semplici e naturali come giunco e midollino?

«Semplicemente, facciamo i prodotti come li faceva il mio bisnonno 135 anni fa! Erano tempi straordinari, si lavorava con i pantaloni dell’abito, la camicia e il gilet. Oggi abbiamo la divisa, ma il sistema è identico. Nel 2002 abbiamo fatto il primo bilancio di sostenibilità, ottenendo la classe di valutazione più alta grazie a prodotti a basso impatto, tecniche artigianali, economia circolare. Ci viene tutto spontaneo, perché abbiamo assorbito i concetti di fine ’800: un artigiano non spreca niente, crea un prodotto di qualità perché deve durare nel tempo. Realizzare ancora tutto a mano è una scelta politica: voglio fare impresa e artigianato abbandonando la visione capitalistica dominata dal profitto. Il mio maestro non è stato Bill Gates né Steve Jobs, ma un italiano più bravo: Adriano Olivetti».

Una cosa di cui va particolarmente fiero?

«La rivoluzione apportata alla distribuzione, la recente apertura di uno showroom a New York. Ma soprattutto il nostro Museo d’impresa, inaugurato nel 2023. Ci tengo che i bambini lo visitino: vorrei far capire che, se un giorno decideranno di entrare in azienda, potranno svolgere un mestiere nobilissimo, imparare un’arte, costruirsi un futuro solido».