Da un giorno all’altro, in piena estate, sono scomparsi da Milano. Monopattini, hoverboard, segway e monowheel elettrici popolavano da ormai quasi un anno le strade del centro meneghino riscuotendo grande successo. Fin troppo, forse, visto che era diventato normale vedere ogni tipo di mezzo a 2 ruote zigzagare a tutta velocità fra automobili e passanti, sfruttando l’anarchia dell’assenza di norme sulla loro circolazione.
Perciò il ministero dei Trasporti ha scelto di intervenire con un decreto ad hoc: dal 27 luglio monopattini e affini possono circolare solo su percorsi pedonali, piste ciclabili e zone urbane a velocità ridotta, con limiti tra i 6 e i 20 chilometri l’ora. Alla sperimentazione obbligatoria di 1 anno hanno già aderito 5 Comuni: oltre al capoluogo lombardo ci sono Torino, Rimini, Cattolica e Pesaro. Ogni città dovrà dotarsi di apposita segnaletica e scegliere con bando pubblico le società che forniranno il servizio. Così, su ordine di Palazzo Marino, i 1.500 microveicoli ormai fuorilegge sono stati fatti sparire e torneranno solo a iter completato.
La nuova mobilità in Italia
Monopattini e hoverboard sono solo gli arrivi più recenti nel variopinto mondo dello sharing, immaginati per coprire gli ultimi metri una volta scesi da treno, auto o mezzi pubblici. Ma la mobilità condivisa nel suo complesso è un settore che cresce a ritmi record, rivoluzionando le abitudini dei consumatori e lo stesso mercato dell’auto.
L’ultimo rapporto nazionale sulla “sharing mobility” ci racconta che, a fine 2018, erano 5,2 milioni gli iscritti ad almeno uno dei 363 servizi attivi in 271 Comuni: un milione in più dell’anno precedente. Anche il parco mezzi si evolve, diventando più leggero e sempre più green.
Soprattutto, la nuova mobilità piace ai giovani: la maggioranza di chi usa il car sharing ha meno di 35 anni e l’auto di proprietà, per le nuove generazioni, è diventata un lusso a cui si può rinunciare. Lo mostra lo studio “Millennials e auto” pubblicato dalla società di ricerca Bain & Company secondo cui, tra il 2001 e il 2017, le immatricolazioni nella fascia 18-29 sono crollate del 50%. «Il motivo è prima di tutto economico: i giovani del 2019 hanno poche risorse e preferiscono investirle in beni più accessibili, come uno smartphone», spiega Gianluca Di Loreto, partner di Bain e autore della ricerca. «Mentre l’auto, perso il suo valore sentimentale, diventa un semplice mezzo di trasporto, che specie nei grandi centri incontra molti concorrenti più economici e pratici».
A Parigi 2 incidenti mortali hanno convinto il sindaco a ridurre i limiti di velocità e ad alzare le tasse sui microveicoli
L’uso irresponsabile dei mezzi è diffuso anche all’estero
Per funzionare, però, la mobilità condivisa ha bisogno di maturità e consapevolezza. Se n’è accorto chi vive nelle grandi città, quando l’invasione delle bici free floating ha portato con sé centinaia di mezzi distrutti o abbandonati.
Nel caso dei monopattini, all’estero conoscono già i danni a cui può portare un loro uso irresponsabile. Il caso simbolo è Parigi, dove i continui incidenti – di cui 2 mortali soltanto tra luglio e agosto – hanno spinto la sindaca Anne Hidalgo a intervenire fissando alcuni paletti: velocità ridotta a 20 all’ora, divieto di transito sui marciapiedi e tasse alle società per ogni nuovo monopattino messo in circolazione, in un tentativo di ridurne il numero che ormai viaggia verso i 40.000 pezzi disponibili.
Ci vogliono restrizioni, ma anche più ciclabili e pedonali
Con il nuovo decreto, anche l’Italia sta cercando di limitare all’estremo la circolazione dei microveicoli, banditi al di fuori di aree pedonali e piste ciclabili. Per hoverboard e monowheel, inoltre, il limite di velocità consentito è di appena 6 km orari. «Sono regole un po’ troppo restrittive, dettate da eccessiva prudenza» commenta Massimo Ciuffini, coordinatore dell’Osservatorio nazionale sulla sharing mobility. «Noi avevamo proposto di separare i monopattini dagli altri veicoli, in quanto dotati di freni e manubrio e quindi molto più flessibili nell’uso. Equiparandoli alle biciclette si sarebbe potuto farli circolare più liberamente».
Ma regole così stringenti non rischiano di scoraggiare operatori e amministrazioni a investire in questo campo? «L’importante è aver sfondato un muro, riconoscendo che questa forma di mobilità esiste e va gestita» dice Ciuffini. «Magari sarà l’occasione buona per discutere del problema principale: la carenza di aree pedonali, ciclabili e zone a velocità limitata nelle città italiane».