Nell’ antica Grecia i mimi come li conosciamo oggi, erano decisamente diversi. Venivano chiamati planipedes poichè recitavano senza scarpe e il loro repertorio era composto da spettacoli di breve durata ma totalmente dedicati alla comicità. Da testi teatrali a canzoni, da una sorta di scenetta bucolica a rivisitazioni caricaturali di avvenimenti storici, l’arte del mimo era soprattutto impostata su gesti ed espressioni, poichè a differenza di molti stili teatrali questo si portava in scena senza maschere. Più che la voce, quindi, andava in scena la fisicità degli attori; un genere che tra il V secolo e il I secolo a.C divenne molto popolare, grazie anche al fatto, probabilmente, che le donne potevano recitare.
La figura del mimo moderna e contemporanea invece, si sviluppa in Europa, in Francia, intorno ai primi decenni del XX secolo. Gli attori continuano a portare in secondo piano la voce, fino a farla scomparire completamente per dedicare tutte le energie in una rappresentazione al 100% espressiva. La gestualità è, insieme alla semplicità dei contenuti delle storie messe in scena, il punto di forza di questo genere.
Il sentimento predominante nel repertorio del mimo è la comicità mentre, assolutamente indispensabili al completamento artistico dell’ attore, sono oggi la danza, la ginnastica artistica, la musica.
Quante volte abbiamo giocato o fotografato un mimo negli angoli delle piazze più famose d’ Europa? Artisti di strada, nella maggior parte dei casi per scelta, che da Roma a Parigi a Praga indossano i panni di Cleopatra, di Charlot, di statue di marmo, divertendo i passanti per pochi spiccioli.
Anche i clown del circo rientrano nella categoria dei mimi, grazie alle loro gag ricche di comicità e alla gestualità esasperata, accompagnata dalla musica. Come tutte le forme d’ arte comunque, anche quella del mimo ha avuto esponenti che sono rimasti nella storia, basti pensare ai re del cinema muto che grande uso fece di queste figure teatrali.
Charlie Chaplin fu, oltre che un grandissimo artista su più campi, anche un grandissimo mimo che seppe mettere al servizio della cinepresa la sua carica espressiva e gestuale, non solo in ambiti comici: indimenticabile il ritratto triste di Charlot, gentiluomo dei primi del secolo, emblema dell’ alienazione dell’ individuo in una società in rapida evoluzione.
Come lui anche Buster Keaton ma soprattutto Etienne Decroux e Marcel Marceau, che in una Francia ancora dilaniata dalla Seconda Guerra Mondiale, dedicarono la loro vita alla carriera di mimo.
Marcel Marceau fondò la Compagnia del Mimo, prima "accademia" nel suo genere, in cui iniziò un percorso di sviluppo sulla pantomima, creandone uno stile nello stile (oggi molte scuole di mimo sono per esempio dedicate solo al "genere Marceau" ). Etienne Decroux resta comunque il padre assoluto del nuovo teatro mimico del Novecento, a cui attinse appunto il suo allievo Marceau insieme ad altri nomi illustri, come Barrault e Guyon.
Ma come si può diventare mimi oggi?
Le scuole di teatro soprattutto, organizzano corsi dedicati a cui è sempre meglio aggiungere corsi complementari soprattutto di danza e musica. Il mimo deve infatti anche saper ballare e sentire il ritmo delle melodie che normalmente accompagnano le sue esibizioni. I clown d’ altra parte, seppur considerati un genere di mimo a se’, devono saper divertire con acrobazie e sketch particolarmente elaborati.
In Italia un punto di partenza potrebbe essere l’I.C.R.A. Project, una scuola teatrale con sedi a Napoli e Roma che organizza corsi per giovani dai 16 ai 27 anni.
Anche i teatri cittadini organizzano ottimi corsi: a Genova è possibile fare la richiesta per i corsi annuali organizzati dal teatro Carlo Felice e sponsorizzati dalla Provincia ma così avviene anche in molti teatri da Milano a Roma a Verona.
La scelta lavorativa, una volta completata la formazione, è quella che si trova davanti ogni attore nel mondo dello spettacolo. Necessari anni di gavetta per arrivare a farsi un nome nell’ ambito, dove la competizione è altissima. Molti scelgono la via dell’ arte di strada o delle piccole compagnie, stabili o itineranti. I compensi non rientrano in uno standard definito: essere un mimo, oggi, significa sacrificare tutto alla propria passione più che lavorare per riempirsi il portafoglio.