Termini che discriminano, ghettizzano, e uccidono. Le anime, ma anche decine di vite. In Italia e nel mondo. Lame composte da lettere che colpiscono duramente, e fanno male. Omofobia, bifobia e transfobia sono parole che vorremmo dimenticare. Che si dovrebbero dimenticare. La paura nei confronti di chi viene visto come diverso. Una differenza che ha ragioni così intime, da non doversi neppure intromettere. Figuriamoci, giudicare.
Esattamente 33 anni fa, Il 17 maggio 1990, l’Organizzazione mondiale della sanità ha eliminato l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali, definendola come una variante naturale del comportamento umano. Una data epocale che convenzionalmente si è scelta per ricordare in tutto il mondo che esistono e resistono ancora oggi discriminazioni nei confronti delle persone gay, lesbiche, trans, bisessuali e che vanno combattute, in ogni loro forma.
Per prevenire o eliminare del tutto i comportamenti omofobi, è necessario che si diffonda un’educazione sentimentale e sessuale che insegni a non avere paura di se stessi, ad ascoltare le proprie emozioni, e ad accettare, sin da piccoli, le differenze con gli altri.
Omofobia, bifobia e transfobia: di cosa parliamo?
Quando parliamo di omofobia, bifobia e transfobia, ci riferiamo in primo luogo ad una avversione. Una forma di intoleranza irrazionale nei confronti delle persone, gay, lesbiche, bisessuali e transessuali. L’omo-lesbo-bi-transfobia si insidia in tutti quei comportamenti discriminatori che vanno a colpire persone e vite, ogni giorno.
Parliamo di esclusione e di stigmatizzazione. I pilastri che sorreggono insulti, occhiate, e forme di emarginazione gravi, nella sfera privata, così come sul lavoro, sono i pregiudizi e gli stereotipi. Questi spesso sfociano in violenze fisiche o verbali – i cosiddetti hate crime di cui sono piene le pagine di cronaca- nei confronti di tutto ciò che appare come distante, non inquadrabile nel modello culturale dominante. Una cultura che spesso non rispetta le differenze.
Pensare che diverso sia sbagliato
Omofobia, bifobia e transfobia sono parole che vorremmo dimenticare perché in una cultura omofoba si inceppano meccanismi civili. Accade, infatti che, ancor prima di sapere che cos’è l’omosessualità, ereditiamo da un background viziato, e involontariamente, la convinzione che essere gay sia qualcosa di “sbagliato”.
Essere omosessuale, trans o bisessuale, arriva a risultare come qualcosa di “strano”, “innaturale” e distante dal vivere comune. Queste convinzioni, figlie della fragilità, dell’ignoranza e dell’ incertezza, hanno radici nella società in cui viviamo. Arrivano dalla famiglia, dalla scuola, da certe predicazioni religiose.
Il linguaggio omofobo
Il linguaggio omofobo genera nelle persone LGBT senso di colpa, inadeguatezza, vergogna. Per non parlare di quanto una persona possa interiorizzare i comportamenti omofobi subiti. E quindi sviluppare un’attitudine negativa verso la propria omosessualità. Ciò può portare a situazioni drammatiche, che fanno sentire sbagliati, ad avere paura. Che sfociano purtroppo anche in gesti estremi.
Lo diceva anche Pier Paolo Pasolini:“Io ho sofferto il soffribile, non ho mai accettato il mio peccato, non sono mai venuto a patti con la mia natura e non mi ci sono neanche abituato. Io ero nato per essere sereno, equilibrato e naturale: la mia omosessualità era in più, era fuori, non c’entrava con me. Me la sono sempre vista accanto come un nemico. Non me la sono mai sentita dentro.”
Il peso dei luoghi comuni
Omofobia, bifobia e transfobia sono parole che vorremmo dimenticare perché derivano da una non conformità ai ruoli di genere. “Le lesbiche sono dei maschiacci”, “le lesbiche hanno tutte i capelli corti”. Oppure: “i gay sono tutti effemminati: lavorano nella moda e non seguono il calcio”. Frasi come queste si basano sulla convinzione irrazionale secondo la quale gli uomini gay avrebbero atteggiamenti e abitudini femminili, e viceversa per le donne lesbiche.
“Colpa dell’educazione in famiglia”
“I gay e le lesbiche non dovrebbero rivelare ai loro genitori la propria omosessualità, per non farli soffrire“. Anche in questo caso, tra le quattro mura domestiche, spesso si cerca la ragione che spieghi perché una preferenza sessuale risulta innaturale. La mamma possessiva con i gli maschi, l’avversione verso il padre, i traumi infantili davanti alle liti dei genitori. O ancora il desiderio dei genitori di avere figli di sesso diverso, o la non corretta educazione sessuale. Si cerca un motivo per accettare qualcosa che, in realtà, non riguarda direttamente la vita di chi giudica e odia.
Affrontare le sfide in solitudine
Omofobia, bifobia e transfobia sono parole che vorremmo dimenticare perché costringono le persone LGBT ad affrontare sfide in solitudine. Fare i conti con la discriminazione, il pregiudizio, la violenza verbale o fisica, logora. Questo non avviene solo non nella società, ma anche all’interno delle loro stesse famiglie, della scuola, sul lavoro.
Nella maggior parte dei casi, queste sfide sono affrontante senza l’appoggio di nessuno. Combattute proprio contro le persone dalle quali, magari, ci si aspettava invece di ricevere sostegno. La solitudine e l’emarginazione che ne derivano hanno un impatto devastante sulla salute psicofisica delle persone gay, lesbiche e bisessuali.