In una società che muta continuamente forma anche gli standard di bellezza cambiano, cosa del resto inevitabile. La bellezza non è soltanto misure o mode, ma cultura e pensiero. I social media hanno dato una grande spinta in tal senso negli ultimi anni e hanno contribuito da una parte a rafforzare canoni estetici a dir poco utopici, ma dall’altra a stravolgere l’ideale di bellezza.

Non è un caso che oggi molte agenzie di moda siano alla continua ricerca di volti non convenzionali, corpi imperfetti, perfino persone comuni. Gli standard di bellezza si allontanano sempre più dall’assurda idea di perfezione che ha sempre dominato la società. In particolare le donne.

Standard di bellezza e social media

Gli standard di bellezza non sono mai stati univoci e nella storia dell’umanità ci sono esempi lampanti di come sia una prerogativa prettamente occidentale quello di imporre standard “assoluti”. Ancora oggi spostandoci da un Paese all’altro troviamo tanti ideali di bellezza molto diversi tra loro. È prima di tutto una questione culturale.

Ma non possiamo negare che i social media, che in poco più di vent’anni hanno preso il sopravvento diventando parte integrante delle nostre vite, abbiano un peso anche sugli standard di bellezza e i loro mutamenti. Ormai è la prassi considerare l’avvento dei social come un punto di rottura, l’ago della bilancia che identifica un “prima” e un “dopo”.

“Prima” che la percezione di noi stesse fosse filtrata dalla fotocamera dello smartphone. “Dopo” che i selfie diventassero i nostri parametri per definire lo standard di bellezza. I selfie – croce e delizia dei nostri tempi – inevitabilmente ci hanno portate a concentrarci sul nostro aspetto, talvolta in maniera quasi ossessiva. Chi più e chi meno, non possiamo negare che i social ci abbiano introdotto in un tunnel di esibizionismo perenne, in cui l’unica preoccupazione è apparire “belle”.

Filtri vs Body Positive

“Pensateci: vi siete mai preoccupate di un difetto fisico prima dei selfie e dei social media?”, si è chiesto il professor Marcos Sforza su HarpersBazaar. In linea con la riflessione sui social fatta poc’anzi, Sforza centra esattamente un punto: i social hanno inevitabilmente influenzato gli standard di bellezza. Ma c’è molto di più.

Il web, i social, lo smartphone hanno cambiato la nostra dimensione personale, aperta verso un mondo in cui i confini sono labili e quasi inesistenti. Possiamo raggiungere chiunque con una sola immagine e questo ci richiede uno sforzo immane per apparire (torna la parola orribile) “perfette”.

Anche se sappiamo perfettamente che quel che mostrano i social è illusorio, aleatorio e assolutamente lontano dalla realtà, ci lasciamo condizionare dalle immagini di sorrisi perfetti, pelli di porcellana, visi privi della minima imperfezione. I cari, vecchi filtri che lottano contro Madre Natura.

Ma c’è un risvolto della medaglia che prende sempre più piede (per fortuna). Il tanto decantato body positive è la vera rivoluzione dei social, la risposta a chi una volta per tutte vuole urlare al mondo: “Non voglio essere perfetta, voglio essere me stessa!”.

Oltre i filtri di Instagram o Snapchat, le donne riprendono possesso della propria dimensione. Cellulite, denti storti, sopracciglia folte, strabismo tutto è bellezza perché tutto fa parte di noi.

Armie Harutyunya, la rivoluzione di Gucci

Naso lungo, labbra sottili, occhiaie pronunciate, sopracciglia foltissime e orecchie a sventola. Leggendo questo elenco si pensa a tutto fuorché a una modella, eppure Gucci ha scelto una donna con queste caratteristiche per la sua campagna di moda. Scatenando letteralmente un putiferio.

La modella armena Armie Harutyunya è arrivata (proprio sui social) come un fulmine a ciel sereno, mettendo in crisi qualsiasi standard di bellezza a cui potremmo pensare. Ed è per questo che ha scatenato un dibattito molto duro su giornali, riviste di moda, social media. Molti non comprendono la scelta di Gucci, visto che la giovane Armie “non è bella”. Ma chi lo stabilisce?

Armie è stata vittima di body shaming, ha ricevuto commenti pessimi sui social. Ha dovuto leggere paragoni improbabili, è stata schernita come modella e come donna. È evidente che Gucci ci ha visto lungo e che ha centrato proprio il punto: chi stabilisce che una donna sia bella o no? Chi mette la firma su uno standard di bellezza, come se si trattasse di un brevetto non modificabile?

C’è ancora tanto lavoro da fare, ma la strada sembra quella giusta.

Standard di bellezza “alternativa”

L’industria della moda si sta allontanando sempre più dagli standard di bellezza che hanno letteralmente dominato la società fino agli Anni ’90. Le Top Model erano delle divinità scese in Terra per spiegarci il significato di bellezza e perfezione. Altissime e con fisici perfetti, seni prorompenti, pelle di bambola, capelli lunghi e lucenti, sguardi intensi, tutto all’insegna della pura perfezione (secondo quegli standard).

Poi sono arrivate delle voci fuori campo che hanno cominciato a dare uno scossone agli standard di bellezza, molto prima di Gucci con la splendida Armie. Pensate a Kate Moss, non proprio di rottura ma sicuramente destabilizzante con quell’aspetto tanto lontano dalle prorompenti “stangone” perfette degli anni ’90.

Winnie Harlow con la sua vitiligine in bella mostra. Shaun Ross, afroamericano e albino. Brunette Moffy, con un accentuatissimo strabismo. Oggi vincono donne e uomini dall’aspetto unico, particolare, lontani anni luce dai canonici standard di bellezza. E, proprio per questo, semplicemente bellissimi.

Dalle Top Model alle “nodel”

L’era delle Top Model si sta lentamente eclissando. Lo dimostra anche un ulteriore strappo agli standard di bellezza e perfezione a cui siamo sempre state abituate. Avete mai sentito parlare dei “nodel”? Sono il contrario dei “model”, appunto.

Le passerelle di Martin Margiela, Rick Owens, Echkaus Latta, Art Shcool sono spesso piene di questi modelli non professionisti reclutati per strada. Gente comune, ordinaria ma proprio per questo straordinaria nella propria unicità. Uomini e donne che portano sulle passerelle non solo il proprio aspetto, ma la propria personalità.

In questo universo di “normalità” emerge la Anti-Agency, un’agenzia di moda che sceglie appositamente persone uniche, creative, talentuose, schiette e intelligenti. Persone che avrebbero potuto essere modelli, ma hanno deciso di non esserlo, che sono troppo cool per esserlo. Un’idea davvero rivoluzionaria per il settore della moda. Chi lo avrebbe mai detto che in passerella avremmo visto uno studente di biochimica, un calciatore, un eco-attivista e un editore per una rivista punk? Divino.

“Solo il brutto è attraente”

“Solo il brutto è attraente”, scrisse il critico d’arte Jules Champfleury nel 18esimo secolo. Charles Baudelaire sosteneva che la bellezza contiene sempre un accenno di particolarità. A distanza di tanto tempo prende sempre più spazio la bellezza “alternativa” agli standard stabiliti in passato, che oggi sono sempre meno rilevanti.

I nuovi standard di bellezza oggi hanno un comune denominatore: la diversità. La società procede nella direzione del non-convenzionale, o almeno ci prova. E noi donne finalmente possiamo iniziare a ritagliarci il nostro spazio, al di là di etichette o imposizioni “dall’alto”.