E alla fine la montagna si tuffa in mare, sprofondando oltre 1.000 metri nello Stretto di Scilla e Cariddi. Una montagna che si solleva dagli abissi e ne conserva la memoria, con conchiglie fossili sui sentieri e lo scheletro di una balena ritrovato a 800 metri di quota. In questo territorio di confine, dove si sente tutta la vastità dell’altrove, l’Appennino diventa “Meridionale” e si declina in Serre, Pollino, Sila e Aspromonte, regalando alla Calabria il primato italiano di un Parco Regionale e tre Parchi Nazionali. Insieme al raro privilegio di abbracciare con lo sguardo, dallo stesso punto di osservazione, alba e tramonto su due mari diversi.

Una montagna “madre” che protegge i suoi figli: l’Aspromonte durante l’ultima glaciazione ha dato rifugio ad animali e piante, e anche agli uomini con i loro arcaici saperi. Ma che allo stesso tempo sembra talvolta allontanarli da sé: terremoti, inondazioni, e poi la precarietà delle strade, la chiusura delle scuole, la mancanza di lavoro hanno determinato il drammatico spopolamento di queste aree. Eppure «contro ogni apparenza, i luoghi abbandonati non muoiono mai» scrive Vito Teti, l’antropologo che si è dedicato ai temi dell’abbandono e della “restanza” in Calabria. «Si solidificano nella dimensione della memoria di coloro che vi abitavano, fino a costituire un irriducibile elemento d’identità».

E a partire da questa identità oggi si prova a immaginare nuovi scenari possibili, diversi da quelli descritti da Corrado Alvaro in Gente in Aspromonte: «Non è bella la vita dei pastori in Aspromonte, d’inverno, quando i torbidi torrenti corrono al mare, e la terra sembra navigare sulle acque». Dal greco áspros, bianco, quello dell’Aspromonte – in dialetto spramunti – è territorio di bellezza selvaggia che comprende 37 Comuni della città metropolitana di Reggio Calabria. Un passato che lo immortala come covo di briganti e sequestratori. Un presente che ribalta la sua fama con la nuova consapevolezza della sua meraviglia segnata da tesori d’arte e da scenari mai visti, come il mare che viene incontro insieme all’Etna fumante mentre si scia a Gambarie.

Da viaggiatori “forestieri” potete sperimentare qui la filoxenìa. La parola greca, meno nota della “sorella cattiva” xenofobìa, ci parla del valore sacro dell’ospitalità, che anche Ulisse aveva ben chiaro quando si chiedeva: «Alla terra di quali uomini sono arrivato? Sono forse violenti, selvaggi e senza giustizia, o sono ospitali e nella mente hanno il rispetto per gli Dei?». Una peculiare forma di accoglienza, che si manifesta con l’invito ad assaggiare la pasta e ceci a Condofuri, le olive schiacciate e il bicchiere di vino nuovo a Gallicianò, la ricotta appena fatta dai pastori di Bagaladi. Che qui l’incontro tra esseri umani si consacri nel cibo lo hanno sperimentato illustri viaggiatori del passato, come il glottologo berlinese Gerhard Rohlfs, che nel secolo scorso dedicò 60 anni della sua vita allo studio dei dialetti calabresi, percorrendo a piedi e a dorso di mulo l’Aspromonte e la Sila, ma soprattutto condividendo il racconto e il pasto con i suoi interlocutori: «Ogni fiume, ogni pietra, ogni paesello annidato su di una rupe rappresenta il fulcro di memorie storiche, e da tutta la superficie sua spira il soffio di un antico e venerabile tempo» scriveva.

Calabria
Il borgo greco-calabro di Gallicianò

Questo soffio si sente forte e chiaro se lasciamo la strada del litorale per seguire le frecce che indicano paesi dove qualcuno parla ancora l’antica lingua di Omero: Bova, per esempio, alle porte del Parco dell’Aspromonte, quasi 1.000 metri di altezza, dove le case antiche del borgo sono state recuperate. «La lingua è la punta dell’iceberg di una tradizione culturale che può essere di grande ispirazione oggi» dice Olimpia Squillaci, giovane linguista cresciuta a “pane e Rohlfs”, che ha da poco concluso una nuova ricerca sul greco di Calabria per lo Smithsonian Center for Folklife & Cultural Heritage di Washington. «Da quando mio padre mi ha preso in braccio per la prima volta e mi ha sussurrato agapi mu, amore mio, con me e le mie sorelle ha parlato sempre esclusivamente il greco di Calabria: è il regalo più bello che ci potesse fare». Una lingua che fino ai primi del ’900 prevaleva sull’italiano in 16 Comuni, rinnegata poi negli anni ’50 e che ora si cerca di rivitalizzare, anche con il Museo della Lingua Greco-Calabra dedicato a Rohlfs e le numerose attività promosse dal direttore Pasquale Faenza e dai suoi collaboratori (www.museogerhardrohlfs.it).

Alla carta geografica di queste montagne si potrebbe sovrapporre una mappa dell’umanità calabrese. A Gallicianò, un pugno di case incastonate tra montagne e fiumare, «si nasce imparati» nella musica e nella danza, come dice Ciccio Nucera, polistrumentista che ha fondato la scuola “Tarantella crea dipendenza”, dove adulti e bambini ritrovano gli antichi passi. A Cataforìo si balla «come Dio comanda»: parola di Peppe i’ Nata, all’anagrafe Giuseppe Crucitti, fondatore del Conservatorio Grecanico, musicista e ballerino da quando, bambino, lo fulminò la visione della prima “rota” con il mastro di ballo e la coppia al centro. Qui due volte l’anno in centinaia vengono calamitati da “U stegg!”, lo Stage Itinerante di Danza e Strumenti dell’Aspromonte Meridionale in cui si suona zampogna, organetto, tamburello, lira calabrese, per una festa a ballu all’usu anticu. Un’atmosfera da happening internazionale che si mescola alla sagra paesana, come dice Peppe: «I partecipanti arrivano da tutto il mondo e se ne vanno strabiliati dopo aver ballato con gli anziani del paese nel cerchio sacro della “rota”, riuniti attorno ai suoni e alla tavola imbandita».

Una rete fatta di umanità e di sentieri intreccia tra loro queste storie, e la rete virtuale di Internet aiuta a farle conoscere. Francesco Bevilacqua è un abile frequentatore di entrambe: con la sua esperienza quarantennale di camminatore errante e il suo sito (www.francescobevilacqua.com) “cura” quella che definisce una malattia epidemica diffusa tra i calabresi: «L’amnesia dei luoghi». I suoi 35 libri cuciono insieme Aspromonte, Sila, Serre e Pollino, inducendo a praticare il cammino, anche interiore, davanti a queste montagne dove «nel silenzio e nel vuoto si è grati all’origine della vita, qualunque essa sia».

Una sezione intera del suo sito è dedicata ai percorsi montani con indicazioni utili e informazioni culturali. Il primo che propone va da Colle Marcione di Civita all’alta valle del Raganello, nel Parco Nazionale del Pollino, la più grande area protetta d’Italia, oltre 192.000 ettari tra Basilicata e Calabria, con le vette più alte del Sud, cascate e rapide, chilometri di canyon circondati dai boschi. Qui vicino c’è la casa colorata di Stefania Emmanuele, sociologa ritornata alle proprie origini a Civita, cittadina del XV secolo abitata da popolazione arbëreshë, gli albanesi d’Italia, e famosa per la sua “architettura parlante”: case con finestre per occhi, un comignolo per naso e per bocca un gran portone. «La mia è un po’ casa e un po’ albergo» sorride Stefania mentre versa un bicchierino di stregonia, liquore ricavato da una delle erbe raccolte nel corso dei laboratori che organizza sul territorio. Si chiama “Il comignolo di Sofia”, dal nome di sua figlia, che corre con lei sui crinali e fa visita ai pastori per assaggiare la ricotta. «Ricotta di “capre felici” che serviamo a colazione insieme alle crostate di farina carosello, alle mandorle locali, al miele di fichi, alle uova saltate in padella con pipi cruschi» quei peperoni secchi cuciti tra loro che a volte Stefania indossa come collana. «Attorno a questo tavolo si ritrova un piccolo mondo di viaggiatori per i quali la vacanza è esperienza di vita, desiderio di comunità» racconta. E assicura che questi piccoli paesi segnano un passo nuovo anche per il turismo, che diventa conoscenza, ricerca di nuovi mondi dove si conservano umanità e saperi dimenticati.

Ognuna di queste montagne ha una personalità distinta. La Sila è «un misterioso riaffiorare dell’estremo Nord sulla punta meridionale della penisola italiana» scriveva Guido Piovene in Viaggio in Italia del 1963. Silva Brutia si chiamava al tempo dei romani questo complesso montuoso di 150.000 ettari tra le province di Cosenza, Crotone e Catanzaro.

Laghi blu cobalto nei quali si riflette il verde e il rosso delle maestose foreste secolari, l’aria e l’acqua tra le più pure d’Europa, il lupo come emblema, il fungo porcino come principe dei sapori. Secondo Daniele Donnici, presidente di Destinazione Sila che riunisce giovani imprenditori del nuovo turismo sostenibile, pochi territori possono vantare, insieme a queste caratteristiche, quasi 700 chilometri di sentieri segnati dal Cai, con attenzione a ogni tipo di disabilità, piste da sci e un antico treno con locomotiva a vapore del 1926 che sale attraversando campi e foreste fino ai 1.406 metri della stazione più alta d’Italia. Antonella Trasitano, ingegnosa imprenditrice con albergo a Lorica, aggiunge alla lista camminate notturne sotto la luna, d’inverno con racchette da neve, e percorsi benessere vista lago; mentre William Lo Celso, tra i più lungimiranti studiosi di turismo della regione, inforca la bici insieme ai ciclisti di tutto il mondo che frequentano il suo albergo a Camigliatello.

Calabria
Il lago Cecita sulla Sila

E infine ci sono io, con un padre calabrese, nata e vissuta a Torino, 10 anni in Brasile per le mie ricerche di antropologia, 20 anni a Roma, che ho deciso di trasferirmi sulle propaggini delle Serre calabresi, a mezz’ora dal mare. Insegno antropologia, lavoro per Radio3, scrivo, viaggio, invento progetti culturali anche da qui. Se salgo verso il paese di sera, nel taglio di luce dei miei fari nella notte scura, posso vedere gli occhi riflettenti di un gatto acquattato nell’erba, la coda rossa di una volpe che corre con i suoi piccoli, il volo di una poiana, lo sguardo interrogativo di un cinghiale impietrito, le ali bianche e nere di una gazza. Mi piace. Dalla finestra nelle mattine d’autunno vedo arcobaleni sulla montagna che cambia i colori, l’acqua la vado a prendere alla fonte in bottiglie di vetro, acqua viva, corrente. Con una certa meraviglia ho scoperto recentemente che un gruppo di donne di diversa provenienza residenti da queste parti s’incontra a ogni cambio di luna, per una meditazione tutta al femminile. Misteriosi percorsi di vita hanno portato qui la bionda scrittrice olandese, la calabro-tedesca tornata alla sua terra, la fotografa africanista, la facilitatrice di mindfulness, l’acrobata del fuoco, la catalana studiosa di Gestalt Therapy che le ha messe insieme, e molte altre ancora. Ognuna, come me, è arrivata da lontano, calamitata dal cerchio di donne, per decifrare il proprio tempo della semina e del raccolto, sotto la luna nuova di questa Calabria.

L’autrice

Patrizia Giancotti è antropologa. Il suo articolo è l’occasione per riscoprire il fascino della Calabria, martoriata dagli incendi di quest’estate. Sui luoghi descritti qui ha curato 2 speciali per Radio3: Volti e voci della Calabria greca e Tra i giganti del bosco: natura e cultura nel Parco Nazionale della Sila. Sono su RaiPlayRadio.

Foto di Giacomo Fè