Separarsi e divorziare riducendo tempi, costi, stress e risolvendo i conflitti, oggi è possibile, grazie alla pratica collaborativa.
Abbiamo intervistato per voi, l’Avvocato Corinna Marzi, esperta in diritto della famiglia e dei minori, e membro dell’IICL (Istituto Italiano di diritto Collaborativo), per capirne qualcosa di più.
Avvocato Marzi, cos’è la pratica collaborativa e in cosa consiste?
La pratica collaborativa è una alternativa extra giudiziaria al processo di separazione, divorzio o di affidamento e mantenimento dei figli naturali per limitare lo stress, i costi e l’imprevedibilità tipica della soluzione giurisdizionale. Si tratta di un procedimento multidisciplinare che vede l’interazione contemporanea (se necessaria) di avvocati, psicologi e commercialisti tutti uniti nella ricerca delle migliori soluzioni per la coppia che intende porre fine alla propria unione coniugale (o di fatto quando vi sono figli).
Alcuni potranno dire che in ciò non vi è nulla di nuovo perché tutti gli avvocati che hanno sviluppato una maggiore attenzione e sensibilità ai problemi connessi alla separazione della coppia, cercano di perseguire in via preventiva un tentativo di risoluzione consensuale della separazione/divorzio. In realtà, il diritto collaborativo rappresenta un passaggio più evoluto perché mira a risolvere i conflitti familiari in uno spazio protetto attraverso il sostegno di professionisti delle varie aree di competenza.
In ogni “caso” collaborativo ciascuna Parte è rappresentata dal proprio Avvocato di fiducia. Lavorando insieme nelle sessioni congiunte le parti, i loro Avvocati e i Consulenti Tecnici (psicologi e/o esperti infantili e/o commercialisti) cercano di identificare i bisogni e gli interessi di ciascun membro della famiglia e nello stesso tempo le aree su cui non vi è accordo.
L’equipe collaborativa assisterà le parti usando strategie di “problem solving” per ridurre o eliminare le aree di disaccordo, allo scopo di pervenire ad una soluzione del problema mirata alle esigenze del singolo membro della famiglia. La pratica collaborativa portata a compimento con successo culmina nella redazione di un ricorso congiunto da presentare in Tribunale per l’omologa contenente le decisioni prese in condivisione nell’ambito del procedimento stragiudiziale.
E’ un percorso attuabile anche in presenza di coppie con una forte conflittualità?
La pratica collaborativa è indicata anche in questi casi perché una delle peculiarità del procedimento consiste proprio nella partecipazione agli incontri di un professionista dell’area psicologica che, in caso di conflitto, può intervenire al fine di dirimere i diversi punti controversi. Spesso si tratta solo di aprire nuovamente un canale di comunicazione ormai chiuso da tempo per le ragioni più diverse. Non è, invece, indicata la pratica collaborativa in tutti i casi in cui vi sia un effettivo sospetto di violenza fisica tra le parti o nei confronti dei figli.
Quali sono i vantaggi per i genitori in crisi e per i figli, rispetto ad un percorso tradizionale?
L’indubbio vantaggio sta nel fatto che il processo collaborativo, avvenendo al di fuori dei Tribunali negli studi degli avvocati “collaborativi”, ha una durata limitatissima (qualche mese, rispetto ad un giudizio in Tribunale che dura circa 4/5 anni). Altro vantaggio è la possibilità di trovare soluzioni condivise tra diversi professionisti esperti della materia e le parti stesse che un Tribunale, anche volendo, non potrebbe mai nemmeno proporre. Ad esempio per quello che attiene la casa coniugale l’unica possibilità per il Tribunale investito della separazione o del divorzio, ma anche dell’affidamento e mantenimento dei figli naturali, sarebbe quella di assegnarla ad uno o all’altro coniuge. Nel processo collaborativo, invece, ampie e diversificate sono le possibilità alternative che possono nascere ed essere decise in condivisione come ad esempio la divisione della casa, la vendita con contestuale acquisto di due distinte abitazioni ecc.. Regola fondamentale del processo collaborativo è il rispetto tra le parti e la conseguente mancanza di aggressione reciproca verbale, psicologica o fisica, pena l’interruzione della pratica collaborativa. Ne consegue che i coniugi o le coppie di fatto per tutto il processo collaborativo sono obbligati ad avere un contegno reciproco civile e contenuto a tutto vantaggio dei figli che non dovranno subire la “guerra dei Roses” dentro casa per anni. Non da sottovalutare, poi, è la circostanza che questo tipo di procedimento implica una grandissima assunzione di responsabilità delle parti nelle decisioni per il futuro della propria famiglia e dei figli. Questa non è quasi mai presente nei metodi alternativi quali la separazione consensuale tradizionale (basata sulla capacità negoziale degli avvocati ai quali le parti delegano al 100% le scelte per il futuro della loro famiglia) o addirittura la separazione giudiziale (basata sulla delega totale delle anzidette scelte alla decisione di un Giudice, che non potrà mai conoscere in modo approfondito le reali vicende famigliari come i protagonisti stessi).
Come si trova un avvocato che si occupa di separazioni e divorzi rispettando il percorso della pratica collaborativa?
Tutti gli avvocati, gli psicologi ed i commercialisti formati in diritto collaborativo possono essere reperiti in Internet sul sito dell’Istituto Italiano di Collaborative Law (www.iicl.it) alla pagina “trova un professionista”. Vi sono anche altre associazioni che formano professionisti a tale scopo, e che pure curano un elenco di avvocati e psicologi collaborativi. Non siamo pochi professionisti esperti in questa pratica, ma l’auspicio è quello di avere sempre più avvocati, psicologi e commercialisti formati ed in grado di praticare questo tipo di processo. Si tratta di un gruppo aperto a chiunque voglia arricchire la propria capacità e professionalità con l’acquisizione di un ulteriore strumento da porre a servizio del proprio cliente e delle sue esigenze.
E’ molto costoso?
Il costo dipende molto dalla complessità della vicenda familiare e dalla conseguente necessità di coinvolgere nel processo collaborativo i diversi professionisti, nonché dal grado di disponibilità dei coniugi stessi nei confronti delle possibili soluzioni proposte. Sicuramente il procedimento collaborativo costa molto meno di un processo giudiziale. Quest’ultimo ha la grande pecca di avere oltre alla logorante durata un costo di avvocati, di consulenti tecnici e di consulenti di parte coinvolti sicuramente più oneroso e non immediatamente quantificabile. Rispetto ad una separazione consensuale tradizionale potrebbe, invece, in un primo momento, apparire economicamente più onerosa. In realtà i benefici che se ne traggono sono sicuramente riscontrabili nel lungo periodo sia nella sfera economica come in quella personale. Le decisioni responsabilmente prese nell’ambito collaborativo, infatti, risultano durevoli nel tempo, quindi meno esposte al pericolo di modifiche future in sede giudiziale. L’esito prodotto dalla consapevole negoziazione nella pratica collaborativa si traduce in una sensazione avvertita dalle parti come “win-win”(vincitore-vincitore), anzichè come “win-looser”(vincitore- vinto) altrimenti riscontrabile all’esito di una separazione giudiziale o all’esito di una consensuale tradizionale non sufficientemente approfondita.