Secondo i dati Istat, su dieci coppie che si separano sette hanno figli . Sono loro a subire prima le liti, poi la rottura e, infine, le decisioni del giudice circa il loro destino: vivranno con la mamma o con il papà ?
Quasi il 90% degli ex sceglie l’affido condiviso , come previsto dalla legge, limitandosi a indicare un domicilio “prevalente” (in genere quello materno). In altri casi, però, quando scatta l’affidamento esclusivo il figlio, compiuti i 12 anni, può cambiare idea. E decidere di trasferirsi nella casa dell’altro genitore. Certo, si torna in aula, però il giudice deve tenere conto della sua volontà , come è successo alla popstar Madonna, che non sembra più la stessa dopo la decisione del figlio Rocco di andare a vivere con il padre.
Come ci si deve comportare in questi casi e quanto costa accettare una scelta che sembra premiare un genitore rispetto all’altro? Ne parliamo con due esperti.
In questa situazione, tra le possibili reazioni c’è anche quella della colpevolizzazione materna. Sia verso se stesse («Ho sbagliato tutto»; «Non l’ho coccolato abbastanza»; «Non avrei dovuto essere così severa») sia verso il figlio. Molte madri arrivano a rimproverarlo con frasi come: «Non pensi a tutto quello che ho fatto per te?».
«Con un maschio queste reazioni possono essere il segno di un rapporto un po’ morboso » commenta Francesca Santarelli, psicoterapeuta. «Come se, simbolicamente, il ragazzo avesse preso il posto del padre . E, inconsciamente, la sua decisione fosse vissuta come un tradimento. Colpevolizzarlo non è solo inutile . Significa anche continuare a tenere ferma l’attenzione su di sé e a non cercare di comprendere i bisogni del figlio».
Non è facile accettare che un figlio decida di andarsene a vivere con il padre. E si cerca di capire perché lo fa. «Più dei padri, le madri tendono a usare il figlio come specchio di se stesse» continua Francesca Santarelli. «Il primo dentino, quando comincia a camminare… diventano l’occasione per mettersi in competizione con le amiche e sottolineare il proprio valore . Poi, quando i bambini crescono, ci si misura con i successi scolastici o sportivi. Non a caso, sono soprattutto le madri a postare le foto dei figli su Facebook: il primo giorno in classe, il compleanno, l’esame di terza media, le vacanze». Lo ha fatto anche Madonna, ma è un’esposizione invadente che i ragazzi non gradiscono. La vivono come una violazione della loro privacy, si vergognano. «Un genitore guardando il proprio profilo social dovrebbe chiedersi: perché sto raccontando a tutti quello che fa mio figlio?» conclude l’esperta.
Ma la separazione dalla mamma può avere anche altre ragioni. «Per esempio la tendenza materna a trattare i ragazzi in modo un po’ infantile e iperprotettivo » aggiunge Matteo Lancini. «Altre volte, invece, i figli vanno via perché sono arrabbiati: il rapporto si è fatto conflittuale , oppure considerano la mamma responsabile della separazione dal padre e, per questo, provano rancore . E quando un ragazzo entra in crisi con un genitore, lo esprime con esplosioni di rabbia . Quindi sceglie di andarsene anche per allontanarsi da reazioni troppo violente».
Superata l’ondata di emozioni, la mamma dovrebbe prendere atto del fatto che il figlio è cresciuto . «L’adolescenza è l’età delle prime decisioni autonome : ragazzi e ragazze non possono più adattarsi passivamente al volere dei grandi, come facevano da piccoli. Preferiscono, per esempio, uscire con gli amici anziché stare in compagnia del genitore che quel fine settimana ha il “turno”» continua Matteo Lancini.
«A 15-16 anni i ragazzi hanno ancora bisogno di un punto fermo , ma sono in grado di decidere chi deve esserlo, tra mamma e papà» continua l’esperto. Insomma, è il momento di fare un passo indietro . Con un adolescente si può e si devono negoziare regole come quelle su uscite serali, orari, gestione del denaro, studio e così via. Ma non è giusto costringerlo a vivere dove non vuole più stare.
La scelta di un figlio non è mai irreversibile e c’è sempre il bisogno profondo di riconciliarsi con i genitori, arrivando ad accettarli così come sono, con i loro difetti. «Spesso, per raggiungere questo risultato serve un lavoro con un terapeuta » conclude Matteo Lancini.
«Ma al di là di questo, il consiglio è di puntare su una relazione più privata e meno “pubblica”: anziché sfogare il proprio senso di abbandono via Facebook, è importantissimo cogliere tutte le occasioni possibili per parlare a quattr’occhi, chiedergli quali sono le sue ragioni, ascoltarle senza giudicare e parlare di sé, di quello che si sente e che si vorrebbe. Anche se ci si vede meno di prima, insomma, il legame non si spezza. Conta molto anche l’atteggiamento del padre, che non deve impedire al ragazzo di riallacciare i rapporti con la mamma. È quello di cui ha bisogno. E un buon padre si preoccupa in primo luogo della serenità e dell’equilibrio dei suoi figli».