La definizione della gravidanza a basso rischio o a rischio, permette di poter indirizzare al meglio la donna alle strutture sanitarie e all’assistenza adeguata al caso. L’OMS sottolinea, poi, che lo stato di rischio di una gravidanza è dinamico, ovvero può mutare nel corso della stessa a seconda del cambiamento subito da alcuni fattori.
Qualora vi sia una diagnosi di gravidanza a rischio, la futura mamma potrà ricorrere a quella che viene definita “assistenza addizionale” o “assistenza specializzata ostetrica e neonatale”. Nel primo caso, si tratta di una tipologia di assistenza riservata ai casi a rischio con complicanze moderate, mentre nel secondo caso ci si riferisce alle gravidanze con complicanze e patologie di grado severo.
Anche per questi motivi, è importante rivolgersi allo specialista non appena si percepiscano campanelli d’allarme nel corso della gravidanza.
Fattori predisponenti
Secondo fonti AOGOI (Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani), l’OMS stabilisce alcune linee guida per inquadrare le gravidanze a rischio. Le linee di valutazione si snodano tra anamnesi patologica, anamnesi ostetrico-ginecologica remota e anamnesi ostetrico-ginecologica attuale.
Nella prima categoria, si annovera la presenza di alcune patologie come, per esempio: il diabete mellito, accertate patologie cardiovascolari, renali, oncologiche, epatiche.
Nella seconda categoria di rischio, troviamo invece la “storia” della futura mamma e si definiscono qui situazioni a rischio: presenza di precedenti aborti o malformazioni, preeclampsia o eclampsia in precedenti gravidanze, parti pre-termine, patologie placentari o interventi di chirurgia uterina.
Infine, nella terza categoria rientra lo stato attuale della donna: vengono considerati a rischio: le gravidanze multiple, le gravidanze sotto i sedici anni e sopra i quarant’anni, valori di pressione diastolica uguali o maggiori a 90 mm/Hg e sindrome da iperstimolazione ovarica in PMA.
Sintomi allarmanti
La minaccia d’aborto è una delle prime paure della futura mamma e il periodo più a rischio è il primo trimestre di gravidanza.
Ma quali sono i sintomi che potrebbero rappresentare campanelli d’allarme? Secondo gli esperti, è necessario recarsi al pronto soccorso o, comunque, sottoporsi a una visita specialistica urgente in presenza di: perdite ematiche e dolori localizzati al basso ventre o ai reni (simili a quelli delle mestruazioni).
In questi casi, solo il medico infatti potrà stabilire se e come intervenire. Non sempre, infatti, si tratta di minaccia d’aborto. Nel caso in cui il medico ritenga opportuno intervenire, alla futura mamma potrebbero essere prescritti: terapie farmacologiche (spesso a base di progesterone, farmaci antispastici e decontratturanti), riposo, astensione dai rapporti sessuali oppure ricovero ospedaliero per monitorare la situazione.
Al primo campanello d’allarme, quindi, si consiglia un controllo specialistico immediato. Gli esperti sottolineano anche l’importanza cruciale di sottoporsi a tutti gli screening prenatali consigliati e di fare molta attenzione allo stile di vita (sedentarietà, stress, sforzi, fumo, alcol, alimentazione, esposizione a condizioni-sostanze potenzialmente tossiche per mamma e feto).