Adottare un bambino è una scelta che arriva dopo un inevitabile periodo di maturazione del dolore e del senso di vuoto. Ci addentriamo negli aspetti emotivi dell’adozione, insieme alla dott.ssa Lisa Trasforini, psicologa per Ai.Bi. (Associazione Amici dei Bambini). E scopriamo che la scelta di adottare è frutto dell’elaborazione dell’impossibilità di procreare, elaborazione che passa anche attraverso fasi di grande rabbia, risentimento e senso di inadeguatezza.
«Più che capire se si è pronte per l’adozione, si tratta di sentire. E, per quanto mi insegna l’esperienza, si è pronte all’adozione quando al “vuoto della pancia” si sostituisce il pensiero gioioso e costruttivo che, da qualche parte nel mondo, esista un bambino che aspetta proprio di essere adottato, accolto e amato» spiega la dott.ssa Trasforini.
Una nuova avventura
Molto frequente, quando si scopre di non poter avere un figlio, è il pensiero che l’adozione sia quasi un ripiego o una scelta di serie b. «Invece, si è pronte per adottare quando questa scelta viene concepita come un’avventura diversa, ma non meno meravigliosa della maternità biologica» spiega l’esperta.
Quando non si riesce ad avere un figlio, entrano in gioco diversi tipi di frustrazione: dalla sensazione di inadeguatezza prettamente fisica, fino al sentimento di mancanza a livello della coppia. «Non riuscire ad avere un figlio, all’inizio, è un vero e proprio shock perché ci si sente imperfetti e, soprattutto se l’infertilità è unilaterale, subentra anche una sorta di senso di colpa nei confronti della relazione di coppia di cui un figlio è considerato, da sempre, la terza dimensione necessaria» continua la dott.ssa Trasforini.
Il tempo giusto
Ma quando ciò che si percepisce rappresenta davvero lo spartiacque che rende pronti ad adottare? Il percorso emotivo che porta dalla scoperta dell’infertilità sino alla scelta dell’adozione, è una vera e propria maturazione.
«Si tratta di un percorso che necessita di un tempo congruo: un tempo di approccio alla tematica e un tempo di approccio alle emozioni» afferma l’esperta. «Esistono ormai numerosi strumenti per cercare di entrare emotivamente nel mondo dell’adozione attraverso informazione e racconti di esperienze di genitori adottivi (spesso, tramite l’uso di Internet), ma è solo l’incontro con la realtà dell’adozione a rappresentare l’esperienza autentica, per forza di cose fino ad allora sconosciuta. In tal senso, è importante non confondere gli aspetti legislativi dell’adozione con il bagaglio emotivo di questa scelta. L’adozione è un’esperienza di corpo e cuore, fatta di emozioni del tutto simili a quelle provate in gravidanza» continua la psicologa.
«La genesi della scelta di adottare (la scoperta dell’infertilità) può essere assimilata, come sensazione, a una malattia o a una mancanza ma poi il fine è quello di una genitorialità piena a tutti gli effetti, costellata da gioie e dolori proprio come la genitorialità biologica» spiega la dott.ssa Trasforini.
Imparare a leggere le emozioni dei bambini
Le difficoltà che si possono incontrare nella relazione con un figlio adottivo, dipendono dalle singole storie ed esperienze. «I bambini e i ragazzi che vengono adottati hanno alle spalle esperienze difficili, alle quali hanno dovuto far fronte senza poter sviluppare il codice delle emozioni che ci si aspetta da un bambino o da un ragazzino. Alcuni bambini possono aver sviluppato più resilienza di altri ma, in comune, c’è la necessità di imparare a leggerne e a codificarne le emozioni. I genitori adottivi imparano a interpretare le emozioni del bambino adottato, dal punto di vista del bambino stesso» spiega la dott.ssa Trasforini.
«Per esempio, la possibile reazione aggressiva e diffidente nei confronti dell’adulto che accoglie è da leggere come una reazione all’amore e all’affetto, che ha radici nel terrore dell’abbandono, emozione purtroppo già sperimentata dal bambino adottato. Quindi si ha desiderio e bisogno di affidarsi completamente ai genitori adottivi ma, al contempo, si è terrorizzati dal poter rivivere la dolorosa esperienza dell’abbandono. Questo tipo di reazione è più rara (per ovvie ragioni) nei bambini molto piccoli anche se, ovviamente, non si può generalizzare. Tutto, infatti, dipende dalle singole storie» conclude la psicologa.