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«Basta, stammi a sentire!». Che senso di impotenza quando non riesci a comunicare con tuo figlio... Eppure la soluzione c’è
di Silvia Calvi
03.02.2014
Il dialogo è un aspetto importantissimo della relazione: quando si fallisce si prova impotenza e, in certi casi, rabbia. «Come se si venisse licenziati dai figli» dice Laura Petrini, consulente educativa del centro di consulenza psicologica e pedagogica Kebrillah di Milano. «In questi casi, anziché agire d’impulso, è meglio fermarsi».
Il piccolo fa i capricci perché non vuole andare a dormire? Sia il genitore che alza la voce sia quello che tenta di convincerlo a tutti i costi stanno agendo per timore: il primo di non avere più autorevolezza, il secondo di deludere il figlio. In entrambi i casi, meglio chiedersi cosa sta succedendo, mettersi accanto lui e fargli capire che siamo interessati a come si sente. Ci sarà tempo il giorno dopo per ricordargli le regole circa gli orari: ma intanto riuscirai a uscire dalla crisi.
In più Laura Petrini suggerisce i 6 vocaboli da tenere a mente per comunicare con efficacia, senza fraintendimenti.
Parla a tuo figlio ma lascia parlare anche lui (e ascoltalo con attenzione)
Prima di parlare, ascolta. E cerca di capire anche i gesti, le espressioni di tuo figlio per entrare in contatto con lui. Un bambino ascoltato ha più fiducia in sé e non teme di esprimere le emozioni: gli servirà crescendo.
Indispensabili solo fino ai 2-3 anni («Non toccare il fuoco!»). Poi servono regole ben spiegate (continua a leggere).
Sono fondamentali, servono a capire cosa sta succedendo. Per esempio, aiuta a spiegare un capriccio che, spesso, nasconde una paura. Sei stata fuori tutto il giorno? Il bambino può reclamare la tua attenzione con modalità per te faticose. Fermati e chiedigli cosa non va.
Sceglile bene e adegua tono e linguaggio all’età di tuo figlio. Evita il sarcasmo (è umiliante) o i giudizi.
Una strategia utile è quella di parlare in prima persona. Invece di dire: «Smettila di fare rumore, mi dai fastidio!», prova: «Oggi sono stanca, questo rumore mi dà fastidio. Potresti abbassare la voce?». Il primo messaggio viene preso come un giudizio negativo, il secondo come una tua semplice richiesta.
Creano distanza, spezzano la comunicazione e, in generale, non sono efficaci. Prima di tutto perché non hanno mai un nesso causa-effetto («Non hai studiato: non esci!»). E, soprattutto, perché non insegnano a riflettere sulle proprie azioni.
Prova con «Uscirai dopo che hai studiato»: è una frase che dà la possibilità di scegliere.
Sembrano limitazioni eppure sono spazi di libertà. Aiutano i figli a capire fino a dove possono arrivare e, quindi, a diventare responsabili. Ma devono essere chiare ed esplicite; condivise; adeguate all’età; e, via via che il bambino cresce, negoziabili.
Insomma, le regole aiutano a crescere. Invece del divieto “Non ti alzi da tavola finché tutti hanno terminato la cena” meglio dare una regola: “A tavola si mangia tutti insieme”.
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