“Stipendio alle casalinghe”: sì o no? Ciclicamente ricompare tra i dibattiti pubblici la proposta di retribuire il lavoro delle casalinghe. Tra i favorevoli troviamo l’avvocato Giulia Bongiorno che propose lo stipendio antiviolenza: “Nella mia esperienza con l’associazione Doppia difesa, ho seguito molti casi di abusi contro donne che lavoravano solo in casa. In tante non sono riuscite a sottrarsi a un compagno-carnefice perché dipendevano economicamente da lui. Ecco uno dei motivi per cui sono favorevole a retribuire il lavoro domestico.”
Da questo intento encomiabile passiamo alla petizione a opera dell’associazione “Evita Peron” per garantire un reddito alle donne che si occupano della casa, ma soprattutto per le mamme che sceglierebbero di crescere i figli in prima persona: “Sostenere economicamente la donna che liberamente decida di non “vivere” per strada lavorando fuori casa e sacrificando la vita familiare, ma che voglia essere solo moglie e madre, deve diventare priorità assoluta per la nostra società” dichiara la presidente Desideria Raggi.
Naturalmente il problema della crescita zero in Italia è presente ormai da anni e si aggrava costantemente. Il numero medio di figli per donna scende a 1,37 (1,46 nel 2010). Solo il 20,1% delle madri con 3 figli (o più) lavorano e il 44% di quelle con almeno un figlio. Ma retribuire le casalinghe (e in particolare le mamme) potrebbe essere un boomerang, con effetti più negativi che positivi.
Le donne si troverebbero nuovamente relegate in casa (pur con uno stipendio) esattamente come le nostre nonne, vanificando così i diritti femminili acquisiti con grande fatica negli ultimi decenni. Inoltre le future generazioni di donne non sarebbero stimolate a studiare e trovarsi un’occupazione. Oltre a essere ingiusto nei confronti di quelle donne che lavorando fuori casa devono comunque occuparsi di casa e figli.
Insomma, lo stipendio alle casalinghe bloccherebbe tutte quelle proposte volte a creare un vero welfare: più servizi per l’infanzia, rimborsi per asili o baby sitter ma soprattutto un lavoro che consenta a entrambi i genitori di portare avanti un progetto familiare (lavoro agile, telelavoro, part time) in un’ottica di vera parità sociale tra madri e padri.