Diminuisce la disoccupazione generale, ma resta alto il numero di donne che perdono il lavoro dopo la nascita del primo figlio. Proprio nella fascia di età tra i 25 e i 49 anni, secondo i dati Eurostat, si assiste persino a una crescita di coloro che sono rimaste senza occupazione (+1,9%). Tra le donne che hanno un solo figlio il livello di disoccupazione è rimasto invariato, mentre va un po’ meglio tra coloro che ne hanno due (+1,4%). La condizione più critica, invece, è vissuta dalle più giovani e precarie, che non hanno le necessarie tutele per affrontare serenamente una maternità, ma corrono il rischio di uscire dal mondo del lavoro senza più farvi rientro. “La difficoltà di conciliazione tra lavoro e famiglia è un problema ben conosciuto e non risolto: il concetto di doppia presenza risale alla fine degli anni Settanta ed è stato coniato da Laura Balbo” commenta Elisabetta Ruspini, docente di Sociologia all’Università Bicocca di Milano.
Eppure rientrare nel mercato è possibile, anche se occorre un cambio di atteggiamento.
I dati su: maternità, lavoro e disoccupazione femminile
Se la disoccupazione femminile è un fenomeno noto, i dati di Eurostat e di Istat confermano una situazione tipicamente italiana e più diffusa al Sud. Nelle regioni meridionali, infatti, il rapporto tra il tasso d’occupazione di una donna con figlio e una senza, che in media è pari al 75,5%, è peggiore rispetto alle zone del Nord. Non sembra un caso, quindi, che lavorino meno donne proprio dove ancora si fanno più figli.
Le difficoltà a trovare o tornare al lavoro per chi ha figli sono ancora più marcate tra le laureate: l’occupazione tra coloro che hanno un titolo di studio universitario (ma non hanno figli) è cresciuta del 4,9%, a fronte di uno 0,6% di tasso di crescita tra le laureate che sono anche madri di un figlio (1% per chi ne ha due). “La partecipazione lavorativa delle donne italiane, sebbene in crescita in particolare tra le generazioni più giovani, è una delle più basse d’Europa” – spiega Ruspini.
Perché si fa fatica?
“L’Italia non è un contesto friendly nei confronti delle donne che lavorano. Nel mercato del lavoro italiano prevale un modello organizzativo scarsamente gender-sensitive, poco attento alla conciliazione famiglia-lavoro e poco aperto a modalità flessibili, personalizzate, tecnologiche di svolgimento delle professioni. Il mercato del lavoro italiano è altresì permeato da forti disuguaglianze di genere nella partecipazione lavorativa: segregazione verticale e orizzontale, differenziali salariali tra donne e uomini, inoccupazione e disoccupazione femminile” aggiunge la sociologa.
“Il tessuto aziendale italiano è composto soprattutto da imprese di piccole e medie dimensioni, per le quali l’assenza di una madre per quasi un anno può rappresentare un problema. Le aziende cercano soluzioni alternative: non solo la sostituzione, ma anche la redistribuzione del lavoro, quindi al rientro della donna lavoratrice può capitare che non ci sia più spazio” spiega a Donna Moderna Simone Colombo, manager dell’outsourging e consulente del lavoro.
“D’altro canto le aziende cercano di assumente persone che non siano in età ‘da figli’, mentre se sono già presenti è frequente che i piano di crescita e carriera vengano sospesi. Insomma, se prima di una maternità c’era stata una crescita tendenziale dello stipendio, al rientro quest aprogressione spesso si congela, per almeno due motivi. Il primo che rimane il dubbio di un’altra maternità, il secondo è che cambia la focalizzazione della lavoratrice, che si dedica maggiormente alla famiglia” aggiunge Colombo, associated partner di YourHR.
Eppure per le donne che mirano a tornare nel mercato esistono alcuni consigli per tornare ad essere “attrattive” per le aziende.
I consigli per rientrare al lavoro
I suggerimenti principali sono tre: 1) “Iniziare a pensare al rientro anche prima di terminare il periodo di maternità. È bene interrogarsi su quale potrà essere il proprio lavoro, mettendo in conto che non si avrà più la precedente postazione. E’ utile fare formazione o parlare con l’azienda per cercare la soluzione migliore per entrambi” spiega Colombo. 2) “Se bisogna cercare ex novo un posto di lavoro, è bene fare scouting, ricercando nelle aziende tra quelle che sostengono politiche di welfare, che gestiscono e accompagnano la maternità o la conciliazione lavoro-famiglia, ad esempio tramite asili aziendali o smartwork (come il telelavoro, ecc). Ci sono diverse realtà di questo tipo, soprattutto tra le multinazionali, e una lavoratrice dovrebbe cercare di fare leva sulle proprie competenze, cercando non tanto un lavoro quanto l’azienda adatta” consiglia l’esperto. 3) “Avere una mentalità aperta: va bene cercare un lavoro da dipendente, ma senza escludere tipologie di attività anche in proprio o da professionisti. Consiglio di sfruttare le proprie competenze, cercando un lavoro che permetta un bilanciamento con le proprie esigenze familiari” dice Colombo.
Le competenze femminili e le possibili soluzioni
“Certamente in Italia è ancora molto diffusa la mentalità secondo la quale è la madre a gestire la famiglia. Una conferma arriva dai dati relativi ai congedi parentali, ancora molto bassi tra gli uomini nonostante la legge li consenta. Il risultato è che spesso una donna si trova a scegliere tra carriera e famiglia, e questo non è positivo non solo per un discorso economico, ma anche per la realizzazione personale” dice il manager – In Italia si sono fatti passi avanti nel welfare, ma si potrebbe fare anche di più. Le spese per gli asili nido, infatti, sono rimborsabili, esistono bonus, ma le aziende potrebbero lavorare anche per creare asili territoriali, in comune tra più realtà, o nella direzione dello smartworking. Anche i centri per l’impiego potrebbe fare di più per riaccompagnare le madri nel mondo del lavoro, soprattutto con la formazione dal momento che in un anno le dinamiche aziendali possono cambiare e molto” conclude l’esperto.
È d’accordo anche Elisabetta Ruspini: “Tra le misure adottabili per permettere alle donne di conciliare maternità e lavoro ci sono maggiore libertà di gestione del proprio lavoro (es. lavoro da casa o part-time), flessibilità dell’orario lavorativo, asili nido aziendali, incentivi al lavoro di cura maschile, campagne di sensibilizzazione per favorire una più equa distribuzione dei tempi di cura tra uomini e donne”.