La storia di Elio Fiorucci è fatta di moda, ma anche di arte, musica, fotografia, gioventù e ribellione. A scriverla è stata un uomo curioso e imprevedibile, sperimentatore intrepido e visionario, amante dei viaggi, della bellezza e della libertà
Elio Fiorucci e il suo primo negozio a Milano
Quel 31 maggio di 55 anni fa, tutto ciò che Elio Fiorucci è si materializza nel suo primo negozio, anzi, il primo concept store, che porta lo stile della Swinging London all’ombra della Madonnina e catapulta Milano nel mondo. È un paradiso pop, zeppo di oggetti di ogni tipo che lui, antesignano cool hunter, scova in giro per il globo. «Ci vediamo da Fiorucci!» è il tormentone di tutti i pomeriggi: quel punto di ritrovo diventa una calamita irresistibile dove, tra musica a palla e prezzi democratici, i giovani per la prima volta possono fare, o non fare, shopping, senza subire gli sguardi alteri di vendeuses altezzose. Si viene avvolti, da un turbinio di colori, di cose tutte lì a portata di mano, messe apposta per essere toccate. E tu tocchi, perché non puoi farne a meno: l’esperienza sensoriale da Fiorucci coinvolge a 360°, non lascia scampo. C’è moda, ma anche gingilli di plastica, i nani da giardino!, dischi, libri, arte, magliette stampate con gli angioletti vittoriani, profumo di caramelle, i poster alle pareti, dell’amico Oliviero Toscani, le campagne pubblicitarie più dirompenti dell’epoca.
Le campagne pubblicitarie fanno scandalo
E quei jeans finalmente concepiti per esaltare la femminilità, che trasformano il fondoschiena in un cuore, intuizione che folgora Elio in viaggio a Ibiza. Vede ragazze in topless e jeans che si tuffano, riemergendo con i pantaloni zuppi e aderenti: «Il risultato erano gambe e sederi bellissimi. Non erano semplicemente donne, ma statue blu indaco» ricorda il designer nel documentario Free Spirit di Andrea Servi e Swan Bergman, presentato al Fashion Film Festival 2022 di Milano.
La moda secondo Fiorucci
Con Fiorucci la moda arriva dalla strada, si ispira ai mercati come quello londinese di Carnaby Street, inizia a includere. Milanese, nato il 10 giugno 1935, Elio Fiorucci trascorre l’adolescenza ad aiutare il padre nel suo negozio di pantofole e scarpe da uomo ma si capisce subito che è uno spirito incontenibile. La svolta è un viaggio nella Swinging London dei Beatles, Biba, Mary Quant, da dove riporta a Milano libertà e trasgressione, pronto a dare una scossa alla sua città. Ha intuìto la voglia dei giovani di scrollarsi di dosso le pressioni sociali che impongono un’eleganza formale che a loro non appartiene. Fa emergere il coraggio di vestirsi per esprimere la propria personalità. Per il suo negozio in piazza San Babila chiama la scultrice Amalia Del Ponte: non vuole un’architettura sontuosa ma una scatola bianca da riempire con il suo caos gioioso e che, in due giorni e una notte, fa rivestire di graffiti da Keith Haring. L’inaugurazione di quel giorno di maggio, battezzata da Adriano Celentano a bordo di una Cadillac rosa, è un successo strepitoso.
Elio Fiorucci: da Milano a New York
Nel 1974 Fiorucci fa il bis a Milano: tre piani multisensoriali in via Torino per fare shopping tra fontane d’acqua, performance dal vivo, un distributore di caffè, un ristorante che serve hamburger su piatti Richard Ginori, i fast food non esistevano ancora in Italia, e un antique market, “Tè alle 5”, che vende abbigliamento usato. Avanti anni luce. L’anno dopo apre in Kings Road a Londra, nel 1976 conquista New York, sulla 59esima Strada, altro luogo di culto. La capacità di Elio Fiorucci di creare mix intriganti tra moda, arte, musica e design dà origine a luoghi magnetici che attirano gli intellettuali e gli artisti più cool come Basquiat, Haring e Andy Warhol. Elio è magnetico: non parla inglese, ma sarà lui a organizzare l’opening del mitico Studio 54, nel 1977. Dove, nel 1983, per il mega party dei 15 anni del brand, chiama una dj semi sconosciuta: Madonna. Nessuno ha il fiuto per, il talento di Fiorucci. «Chi non ha immaginazione vive nella paura, bisogna gettare il cuore al di là dell’ostacolo» ripeteva. Dopo tre decadi di meraviglia, nel 1990, per la cattiva gestione finanziaria, Fiorucci cede l’attività ai giapponesi. Nel 2015, anno della morte di Elio, si tenta il rilancio del marchio, ma i negozi nel mondo chiudono e la Wunderkammer di San Babila spegne per sempre le sue luci nel 2003. Cosa ci resta? La nostalgia per quell’energia positiva, l’irriverenza giocosa, le vibrazioni creative. A ripensarci oggi, viene un tuffo al cuore: ecco una delle poche cose che la Gen Z ci invidia. E che nessun metaverso potrà mai eguagliare.