È il buio in cui si cerca la luce, il punto di partenza delle rinascite, forse l’origine e la fine di tutte le cose, l’oscurità che affina la vista, la tenebra in cui si creano i sogni. Enigmatico e lineare, sontuoso o modesto, cupo e liquido, sofisticato o rigoroso, il nero è signore dei contrasti, adattabile a ogni personalità, declinabile in ogni look, camaleontico e fedele a se stesso. Per questo, unico. La moda l’ha sempre amato proprio per la sua versatilità, innalzandolo a uno dei colori primari del guardaroba moderno. Alle ultime sfilate, che hanno portato in passerella la moda dell’autunno-inverno 2024, ma anche in quelle che hanno predetto i trend per l’estate ormai alle porte, il nero ha regnato. Dagli outfit sporty-chic di Miu Miu al miniabito vinilico a trapezio dal sapore anni ’60 di Gucci, fino ai giochi di trasparenze visti quasi ovunque, da The Row a Chloé.
Valentino e la sfilata in nero
Ma è stato Pierpaolo Piccioli per Valentino, con la sfilata andata in scena a Parigi agli inizi di marzo, a creare uno show total black come una dichiarazione d’amore al colore che ha scritto la storia. 63 modelli, dal sorprendente tailleur formato da una giacca-tunica più shorts fino all’abito da sera nude look impreziosito da una cascata di piccole applicazioni, hanno composto la collezione Le Noir. Era ultimo défilé firmato dal creativo italiano che fino a marzo è stato alla guida della maison creata da Valentino Garavani nel 1957. Un nero, quello di Piccioli, forse mai così femminile e potente. Lucido come la vernice, vaporoso nei giochi di tulle e volants, scintillante, seducente nel nude look, raffinato e frizzante come i pizzi e i ricami.
Con Chanel il nero diventa chic
Non è la prima volta che il nero segna così indelebilmente una pagina della storia della moda. È stato proprio questo colore, a partire dai primi del ’900, ad accompagnare l’incontro tra la funzionalità nell’abbigliamento femminile, che andava di pari passo con il cammino dell’emancipazione delle donne, e lo stile. Fu così che divenne il colore dell’eleganza pratica, non più relegato agli abiti da lutto o alle uniformi da lavoro. Sovversivo e anticonvenzionale, nei ruggenti anni ’20 arrivò a fare la vera rivoluzione. Fu la geniale Coco Chanel a creare un essenziale abito nero al ginocchio con le maniche lunghe, semplice e radicale allo stesso tempo. Nel 1926 Vogue America lo mise in copertina paragonandolo alla vettura T della Ford che stava scompaginando, con la produzione in larga serie, il mercato dell’auto. Così il vestito diventò oggetto del desiderio e nacque il little black dress (o la petite robe noir, in francese), l’abito chic più efficace del mondo. Tutte le donne, o quasi, ne hanno uno nel loro guardaroba.
Il little black dress di Audrey Hepburn
A cementare il mito del vestito nero salva-occasioni, perfetto da mattina a sera, ci pensò il connubio di stile tra l’attrice Audrey Hepburn e lo stilista Hubert de Givenchy con il lungo tubino di raso senza maniche indossato nella scena iniziale di Colazione da Tiffany. E fu questo sodalizio fashion a farci capire che vestire di nero è sempre una buona idea. Il nero non era solo pratico, senza tempo e chic, ma divenne anche audace, scandaloso. A elevarlo a complice perfetto della seduzione femminile ci aveva già pensato definitivamente, nel 1946, Rita Hayworth nel film noir Gilda che la consacrò a sex symbol. L’abito in raso a bustier con un grande fiocco davanti realizzato dal costumista di Hollywood Jean Louis, protagonista della scena memorabile dove Hayworth canta e, sfilandosi un solo guanto, ammalia la platea, è diventato modello per tantissimi abiti da sera. Come quello del costumista premio Oscar Piero Gherardi, con cui Anita Ekberg si bagna nella Fontana di Trevi nel film La Dolce Vita di Federico Fellini.
Nero è il colore della vendetta
Nero è anche quello che è stato definito il “revenge dress” per eccellenza: il mini abito che scopriva spalle e gambe, dichiarazione di libertà e voglia di splendere, firmato da Christina Stambolian e indossato da Lady Diana il 29 giugno 1994 per l’evento benefico della Serpentine Gallery di Londra, la stessa sera in cui l’ex marito, il principe Carlo, raccontò in tv a tutto il mondo la sua infedeltà. Poi, sempre alla fine di quell’anno, un altro vestito nero catalizzò l’attenzione. Sfoggiato sul tappeto rosso dall’attrice Liz Hurley che accompagnava Hugh Grant, a quel tempo suo fidanzato, e disegnato da Gianni Versace, fu ribattezzato Safety Pin Dress. Era tenuto su solo da grandi spille da balia dorate, omaggio alla cultura punk che aveva eletto proprio il nero come feticcio. E quale colore, se non ancora una volta lui, il black, poteva dar vita alle mirabili silhouette architettoniche di Cristóbal Balenciaga, per poi incarnare anche il minimalismo negli anni ’90 diventando avanguardistico con i designer giapponesi come Issey Miyake, Yohji Yamamoto e Rei Kawakubo di Comme des Garçons.
Il Safety Pin Dress a firma Versace indossato da Elizabeth Hurley per la prima di Quattro matrimoni e un funerale nel 1994
Il Back to Black di Amy Winehouse
Il nero è tutt’oggi invenzione o provocazione, raccoglimento interiore, mimetizzazione o dichiarazione di intenti. Può essere tutto quello che vogliamo. E se il total black non è forse per tutte, basta anche un solo tocco, un accessorio cool come le ballerine con i nastri da danzatrice o l’intramontabile costume intero in spiaggia per sentire il fascino che sprigiona questo colore. Come cantava Amy Winehouse in una delle sue hit più celebri (mentre ammiriamo gli outifit del biopic adesso al cinema), è il momento di tornare al nero senza nessuna nostalgia o tristezza. Back to Black, come l’inchiostro su una nuova pagina di stile tutta da scrivere.