Non siamo negli headquarters di San Francisco, ma in uno storico palazzo milanese. Ad aspettarmi in salotto per parlare dei Levi’s 501 c’è Karyn Hillman, Senior Vice President & Chief Product Officer del brand, una donna minuta, con un look total denim semplice ma giustissimo: pantaloni e camicia oversize, a cui ha abbinato degli stivaletti con kitten heel e punta pitonata. Ha quello stile un po’ anni ’80/90 che poi mi confesserà essere il suo periodo moda preferito.
I Levi’s 501 sono un capo democratico. Indossato da celeb e da gente comune. Perché secondo te sono così amati?
«Credo dipenda tutto dalla loro autenticità e personalità. Sono super riconoscibili. E perché in fondo sono semplici, facili e col tempo migliorano. Hanno quell’allure rilassata, una coolness innata restando pratici, comodi e versatili. Negli anni sono rimasti autentici, la loro essenza non è cambiata. Lo status di icona arriva dalla gente che li indossa, celeb e non, mentre per noi i Levi’s 501® sono un modello che in 150 anni si è trasformato, adeguato ai tempi, pur fedele all’originale. Sono come una tela su cui disegniamo il futuro restando bene legati alla tradizione. È una decisione che è stata presa anni fa, prima di me e che condivido».
Come si può rinnovare senza modificare l’originale?
«Abbiamo un canovaccio preciso e una serie di caratteristiche che restano invariate: il tessuto shrink-to-fit, i rivetti, la red tab, il patch sul retro, la chiusura con il bottone. E su quello poi si interviene per creare i nuovi stili. Ti ricordo che siamo partiti da una salopette con bretelle che aveva quattro tasche. E poi nel 1901 ne abbiamo aggiunta una. Tutti pensano che sia la piccola davanti, ma non è così. Quella è sempre esistita, serviva per l’orologio. L’abbiamo aggiunta dietro, dove in origine ce n’era solo una. Dopotutto era un pantalone da lavoro, non serviva».
Levi’s 501: l’evoluzione di un’icona
Come nascono questi cambiamenti?
«La quinta tasca è arrivata dai suggerimenti della clientela che chiedeva due tasche dietro. Ci adeguiamo all’esigenze. Fino a 10 anni fa i 501 erano solo di cotone, al 100%. Intanto nel resto del mondo erano arrivati i jeans stretch, elasticizzati, per dare più comfort. E così anche noi ci siamo convinti a fare i modelli skinny e stretch dei 501. Rinnovarsi è una necessità se vuoi avere ancora una voce, non puoi tirarti indietro. È un jeans che si è adattato ai tempi, se fossimo rimasti fermi sulle nostre posizioni, non avremmo seguito l’evoluzione dei nostri clienti».
«Il nostro ufficio stile sa che questo è un jeans con profonde e solide radici, ma deve guardare al futuro esteticamente, ci divertiamo con i fit e ora abbiamo un’intera famiglia 501. Ti faccio l’esempio degli Original e dei ’90s per lei: ogni decade ha il suo fit, ma i dettagli sono identici. Siamo fortunati, abbiamo un archivio incredibile che ci permette di studiare com’erano e come si indossavano. Negli anni ’90 erano più slouchy e rilassati per esempio. Quest’anno abbiamo lanciato l’edizione ’81, ha la vita più alta e la gamba più affusolata di tutta la famiglia dei 501, assomiglia un po’ ai mom jeans. Abbiamo ampliato la gamma ma senza esagerare con le vestibilità e ci siamo esercitati anche sulle lavorazioni, i decori, i colori e i finissaggi. Insomma ci divertiamo».
I jeans hanno accompagnato tante rivoluzioni moda e non solo. Qual è il loro messaggio oggi?
«È ancora il capo più democratico che ci sia e come nessun altro lascia spazio all’individualità e alla self expression. E col tempo migliora. Se poi ti stufi, può avere una seconda vita altrove, lo regali, lo rivendi. Io li passo a mia figlia, ma dopo che li ho indossati un po’, non li vuole nuovi».
Levi’s 501: un’identità, tante storie
In 150 anni avrete raccolto tante storie. Condividi qualche ricordo con noi?
«Penso alle persone più che alle storie. Stiamo parlando di un capo di abbigliamento normale che dal 1873 a oggi ha avuto una vita straordinaria, indossato da attori, politici, pionieri, leaders, gente comune, generazioni su generazioni nel mondo. Wow, è davvero incredibile. Dal cowboy nel ranch a Hollywood, da Woodstock al Punk all’Hip Hop, dagli anni 70 ai 90, ha viaggiato nel tempo ed entrato nelle case e nello stile di tanti. Io sono una fan degli anni ’80/90 e ricordo i 501 di Kurt Cobain e Sade, li indossavano con nonchalance, sembrava ci fossero nati dentro. E cosa dire di Marlon Brando, Marilyn Monroe, sono impressi nella memoria di tutti. In archivio abbiamo i jeans di Steve Jobs: erano la sua uniforme, con il dolcevita e le sneaker. Non te lo ricordi vestito diversamente, con il suo stile Normcore che tra l’altro è una tendenza che sta tornando».
Avrai anche un ricordo personale?
«A me piaceva comprare i Levi’s di seconda mano, negli anni ’80/90 si chiamavano jeans “usati”. Non come adesso che sono diventati di moda e quindi tutti li definiscono “pre-loved”, “second-hand”. Quando mi chiedono se compravo vintage, io rispondo fiera “Macché vintage, usato!”. Ognuno di noi ha una storia legata ai 501, ed è il concept dietro la nostra campagna ‘The Greatest Story Ever Worn’ (una campagna che rende omaggio alle storie raccontate dai fan dei jeans 501, ndr)».
Come si resta giovani a 150 anni?
«Evolvendosi, i jeans rimarranno per sempre nella vita delle persone, ma per essere sempre rilevanti dobbiamo continuamente alzare la nostra asticella. I Levi’s 501 sono l’icona moda del XX secolo secondo il TIME, per me è un onore poter dire che lavoro con un’icona. Come saranno i prossimi 150? Simili agli ultimi, non perché faremo copia e incolla, ma perché ci sarà evoluzione, mantenendo intatto il suo dna. Il mondo cambierà e chiederà adattamenti, ma l’essenza ancora una volta resterà invariata. Prima di lasciarci voglio la tua storia, però».
Eccola: mio fratello ai tempi del liceo aveva un paio di 501 a cui non voleva rinunciare e mia mamma doveva rammendarli o mettere delle toppe di continuo ritagliate da vecchi jeans. Erano gli anni 70 e i jeans strappati non si usavano. I suoi 501 erano così amati dai suoi amici che mia mamma dovette rattoppare anche i loro.
«Che bella storia. Riesco a immaginare la scena di tua mamma che li ricuce. Chissà dove sono finiti quei jeans».